Le parole più citate nelle ultime settimane all'interno dell'ambiente del Benevento Calcio sono tre, a occhio e croce: cessioni, giovani, anima. Se per le prime due, si può ben immaginare quale sarà il lavoro di Carli, per la terza parola si entra nell'aspetto dell'onirico, ma che può essere raggiunto se si toccano le corde giuste. Come si dà un'anima a una squadra? Questo è il dilemma. Che il Benevento l'abbia persa, è un dato di fatto incontrovertibile. Le cause sono innumerevoli, le colpe vanno divise, ma di sicuro la realtà giallorossa si è smarrita dopo aver perso la serie A. Questo non è successo nel 2018, anzi, quella retrocessione permise di costruire lo squadrone che con Inzaghi demolì il campionato di serie B. Ma adesso è inutile pensare al passato. Parentesi chiusa. Come un supereroe, Carli si è vestito di maschera e mantello con l'obiettivo di riportare al Ciro Vigorito quell'anima che il Benevento ha smarrito.
Tutti via da Benevento, triste ma vero: si parte da qui
C'è una frase che De Zerbi disse dopo aver perso la serie A con il Benevento: "Devo andare via, dopo una retrocessione si deve per forza cambiare". Parole di un tecnico che oggi si sta facendo ammirare dagli Inglesi, da sempre un po' naif quando si parla di calcio, o lo stesso Pep Guardiola, fresco vincitore della Champions League con il Manchester City. Cambiare è la conditio sine qua non per ripartire dopo una ferita così profonda. Proprio per questo, il primo passo di Carli è quello di cedere il maggior numero di calciatori possibile, obiettivo che la società si è posto come primario in questa fase embrionale della stagione. È una necessità, seppur molto complicata per i tanti euro sul groppone, ma troppo importante: con l'addio di chi ha chiuso il ciclo ormai da tempo, si potrà portare un vento nuovo a questa realtà che ha tanta voglia di riemergere.
Benevento, una città piccola ma da amare
Poi è chiaro che i nuovi acquisti debbano vedere Benevento come un luogo felice, una sorta di isola che non c'è dove poter esaudire i propri sogni più belli nel mondo del calcio. Magari vivendola quotidianamente, nonostante l'assenza di brand come Gucci o Dolce e Gabbana. C'è l'Arco di Traiano o altre bellezze affini che permettono di girare in strada col sorriso. Un po' come fecero coloro che un'anima ce l'avevano e che nel 2015 non si tirarono indietro nello spalare il fango della Benevento alluvionata. Non per niente, gli stessi uomini portarono la Strega in serie B dopo 87 anni. Dagli uomini si crea il gruppo, guidato da un allenatore che permetta allo spogliatoio di remare verso la stessa direzione, onorando - prendendo in prestito una frase di Henry - "il nome che sta davanti alla maglia, in modo che tutti si ricordino quello che c'è dietro". E poi si crea un effetto a catena devastante, perché quando il pubblico nota che la squadra sputa il sangue per la maglia, allora le componenti sono ben allineate per un unico obiettivo. Che poi non arrivi, questo è un altro paio di maniche: ma i fischi o le contestazioni saranno ridotte al lumicino. Dare un'anima può anche passare da quei giovani che sono maturati e che sono cresciuti con questa maglia addosso, vivendo il Benevento dall'under 15 fino alla prima squadra. Ragazzi che la società ha coccolato con vitto e alloggio, accompagnandoli ogni giorno a scuola e al campo. Chi più di loro possono sentire questi colori?
Il cambiamento
Vigorito e Carli queste cose le sanno e tali convinzioni hanno portato alle prime scelte. L'entusiasmo di Andreoletti ha già contagiato la dirigenza, mentre adesso si lavora per lo scoglio più importante: quello del cambiamento. Con la speranza che anche i diretti interessati capiscano che una maglia o una categoria vanne anche meritate, al di là dell'importanza del dio denaro.