Cannavaro, il ritorno in Campania: la carica iconica per chi era bimbo nei '90

Dall'esordio in azzurro all'arrivo a Benevento: 30 anni e un forte legame con una generazione

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Benevento.  

C'è una componente iconica in Fabio Cannavaro per chi ha circa 40 anni o poco meno, è campano e/o tifa Napoli. Ciò naturalmente a prescindere dalla naturale brandizzazione di un calciatore Campione del Mondo, Pallone d'Oro e più volte vincitore nei campionati in cui ha giocato: non è così banale.
Chi era bambino e seguiva il pallone di inizio anni '90 ricorda un Napoli reduce dai fasti maradoniani e già chiaramente decaduto, non ancora disastrato come quello che sarebbe venuto di lì a cinque o sei anni, ma già costretto a competere al massimo per un posto in Europa.


Un Napoli che si aggrappava alle competenze calcistiche di Ferlaino: che sognava Stoichkov ma poteva permettersi Daniel Fonseca (mica male), che scovava Thern e doveva puntare anche sulla Primavera, sperando, lui e tutta Napoli, gli uscisse qualche campioncino.
Di qualcuno si diceva un gran bene: Christian Baglieri in attacco, Angelo Pagotto in porta, e poi due difensori centrali, Ciro Caruso e Fabio Cannavaro...di questi due in particolare.


E non si storceva troppo il naso quando Bianchi era costretto a far esordire il giovanissimo Fabio Cannavaro addirittura contro la Juventus a Torino: contro Baggio, Ravanelli, Moeller, Di Canio, Platt...che ne faranno 4.
Per la verità l'esordio in prima squadra era arrivato qualche mese prima con Ranieri: 10 minuti contro il Modena in Coppa Italia.
Tempi diversi però: nessuno dopo quei quattro gol di Torino inondava social (anche perché non esistevano) e giornali dando addosso a Bianchi parlando di bruciatura di un Primavera, nessuno rumoreggiava allo stadio per “il ragazzino”.


Anzi: bambini (come chi scrive) e ragazzini vedevano in Cannavaro un sogno, una speranza. Un orgoglio, ancor di più quando nell'anno successivo Lippi ne fece lo stopper titolare accanto a Giovanni Bia (e Ciro Ferrara ovviamente), e quando Cannavaro veniva chiamato in nazionale Under 21 in un periodo in cui nessun calciatore del Napoli vestiva l'azzurro.
Un orgoglio vederlo giganteggiare contro il Milan dei record a Marzo 1994, quando Di Canio (quello che ne aveva battezzato l'esordio in A) beffò Rossi e lui fermò Simone e Papin, portando a casa 3 punti fondamentali per la qualificazione in Europa. Altrettanto vederlo annullare gente come Ruben Sosa.
Era già un big nella stagione successiva quando proprio al Milan segnò il suo unico gol in maglia azzurra, seppur con la complicità di Seba Rossi.


Un big che inevitabilmente sarebbe finito in una big, seppur emergente come il Parma di Tanzi, per 10 miliardi: ossigeno per portare avanti una squadra sull'orlo del fallimento.
E al di là di determinate logiche, impossibili i sentimenti malevoli per quei bambini che ne avevano seguito la nascita calcistica quando Cannavaro se lo sono ritrovati avversario: anche col groppo in gola nel vederlo abbracciare Pino Taglialatela in quel terribile giorno di Aprile del 1998. Anche dopo, in maglia bianconera...non foss'altro perché c'era lui dall'altra parte quando il Napoli è tornato a vincere a Torino, nel 2009.


Luccicanti, più degli altri poi, gli occhi di chi era bambino nel 1992, quando Cannavaro avrebbe saltato in testa al miglior rimbalzista Nba se se lo fosse trovato contro nelle notti del 2006: con inevitabile fremito nel vedere alzare la Coppa.
E oggi che quella Coppa viene “memata” sostituendola con una bottiglia di Strega e Fabio torna a rappresentare la Campania e il sud in maglia giallorossa quella carica iconica che aveva cominciato a maturare nel '92 viene torna a suscitare emozioni: un sorriso perlomeno.