Ma il Molisannio resta un'ipotesi fumosa e poco convincente

Iter incerto , molto probabilmente ritenuto "pericoloso". Soluzione è davvero addio alla Campania?

ma il molisannio resta un ipotesi fumosa e poco convincente
Benevento.  

Moldaunia, Dolomitia, Lunezia, Insurbia. E appunto il Molisannio. Sono i nomi delle “Regioni mai nate” che però sono diventate argomenti di discussione nel corso degli anni. L'elenco sarebbe ancora più lungo se vi fossero inserite anche le province (si ricordi il caso del Principato di Salerno, ad esempio).
Oggi a Benevento e nel Molise se ne torna a parlare, con l'eterno ritorno del Molisannio dopo il voto in consiglio provinciale del 93 (favorevole) e quello del 2012 (contrario), sebbene con la novità che mentre in passato era stato unicamente il Sannio ad ammiccare al Molise oggi il primo approccio è arrivato da Campobasso, con l'idea rispolverata dal Governatore Donato Toma.


Idea che ha trovato sponda nel sindaco della città, Clemente Mastella: normale, visto che sul tema la sua posizione è sempre stata notoriamente “molisannita”.
Domenica scorsa l'incontro tra Toma e Mastella: cordialità e sorrisi, e l'assicurazione di una reciproca collaborazione per il risultato.
Si farà? La storia dice che negli ultimi 60 anni, salvo appunto la creazione del Molise nel 1963, le uniche modifiche ai confini amministrativi si sono registrate per comuni che hanno cambiato Regione (i 7 comuni della Valmarecchia passati dalla provincia di Pesaro a quella di Rimini nel 2009), il Comune di Sappada passata dal Veneto al Friuli nel 2017 e i comuni di Sassofeltrio e Montecopiolo passati (ancora) dalla Provincia di Pesaro a quella di Rimini nel 2021.


Insomma, una letteratura scarna a discapito della ricchezza dei proclami e delle manifestazioni d'intenti, e in ogni caso l'addio di un'intera Provincia a una Regione per entrare in un'altra sarebbe un unicum.
Al netto di un iter burocratico certamente (e verrebbe da dire per fortuna) non facile, resta da analizzare il quadro in cui matura (nuovamente) la vocazione Molisannita.
Inutile nasconderlo, l'accenno al “napolicentrismo” di Palazzo Santa Lucia non è un male immaginario sannita: con 2 consiglieri regionali a fronte delle truppe napoletane e una dimensione micro rispetto a quelle aree far sentire la voce di Benevento a Napoli è stata notoriamente impresa difficile e lo è tuttora.
Sarà ancora peggio in futuro, probabilmente, vista la decrescita demografica che nel Sannio accelera in maniera prepotente.


L'idea dunque è che nel Molise si potrebbero trovare le occasioni di sviluppo che non si trovano in Campania. Sarà davvero così?
Per chi fa politica sì, è inevitabile: l'occasione è invitante. Basti pensare che coi suoi 260mila abitanti la Provincia di Benevento passerebbe da eleggere 2 consiglieri regionali a 9, e con 9 consiglieri su 20 cambierebbe decisamente la voce in capitolo della Provincia di Benevento nelle scelte regionali. (Oggi, anche il sindaco sannita più marcatamente vicino ai vertici regionali, a prescindere da chi siano e di quale parte politica, a microfoni spenti non esiterà un secondo a riconoscere quanto si debba lottare per ottenere un risultato, spesso piccolo, nell'interlocuzione con Palazzo Santa Lucia). 
Un maggior peso politico, nella vita amministrativa (Benevento nel fantomatico “Molisannio”, pur lasciando a Campobasso il ruolo di capoluogo, ospiterebbe probabilmente il Tar, ad esempio) probabilmente anche a livello sanitario.


Insomma, l'idea è che da due debolezze, che sono oggi Sannio e Molise, possa nascere una forza.
Eppure le perplessità in merito restano: che l'iter vada in porto, in un momento in cui le vocazioni “micro” sono belle e che andate, si guarderebbe con poco favore a un'operazione del genere, sia in termini di costi economici che “politici”.


E quello politico è un aspetto importantissimo a parere di chi scrive. Il Sannio è notoriamente un territorio disomogeneo sotto tanti punti di vista: la Valle Caudina è tutt'altra cosa rispetto al Fortore, nella stessa Valle Telesina convivono un'anima più legata alla tradizione casertana e napoletana e un'anima sì, più vicina al Molise. A prescindere dalle procedure burocratiche da mettere in campo in base all'articolo 132 della Costituzione è chiaro che un'eventuale “Operazione Molisannio” andrebbe preparata.
Come? Inevitabilmente istituzionalizzando le differenze tra il Sannio e il resto della Campania. E ponendo il caso che la popolazione sannita, la sua maggioranza a seconda di come si strutturerebbe il processo (con referendum , sentendo una quota consistente di consigli comunali...) si orientasse sull'abbandono alla “Campania matrigna” chi assicura che non sarà la prima tessera di un effetto domino di portata e potenza sconosciuta?


Nel senso: l'istituzionalizzazione della differenza tra Sannio e Campania potrebbe diventare (come potrebbe non diventarlo affatto, naturalmente) il manifesto di tutti gli esaltatori di differenze più o meno esistenti in un territorio complesso come l'Italia.
E ciò dando per scontato che per contro, le affinità tra Molise e Sannio siano riconosciute dagli stessi molisani: oggi Toma dice “Se non il Sannio, chi?”, in passato le istituzioni molisane, va detto, si sono mostrate ben fredde nei confronti di questa ipotesi, e oggi lo stesso sindaco di Campobasso rigetta l'idea definendola “Un'opa che il Sannio vorrebbe lanciare sul Molise e su Campobasso per avere più voce in capitolo e più forza”. Certo, alla base di ciò c'è anche (soprattutto) la politica: il Sindaco di Campobasso Gravina è del Movimento Cinque Stelle, non ha alcun interesse a sposare un progetto che arriva da un sindaco lontano dal Movimento, come Mastella, e da un governatore marcatamente di centrodestra come Toma.


E nella consapevolezza che l'iter in ogni caso richiederebbe tempi lunghi a dispetto di un momento in cui le situazioni, dal mondiale al locale, cambiano a ritmi vertiginosi, l'ipotesi Molisannio appare (ancora una volta) la costruzione di un castello in aria.
Stante il problema drammaticamente esistente, e che è esistito sempre a prescindere dai posizionamenti politici, delle differenze all'interno della Campania, differenze che vanno dalla distribuzione delle risorse alla rappresentanza all'offerta sanitaria alla viabilità ecc ecc ecc, forse il “Non gioco più me ne vado” non è, realisticamente, il miglior modo per provare a contrastarle.


Un modo che ad ora deve inquadrarsi obbligatoriamente (e inevitabilmente) di giocarsi la partita all'interno della Regione Campania, richiamando non solo la classe politica, ma tutto il territorio, alla responsabilità e facendo fronte comune, finalmente, con chi oggi condivide davvero caratteristiche e situazione amministrativa col Sannio: l'Irpinia, e anche buona parte della provincia di Caserta.