Il caso De Girolamo e la "leva dei morti"

Di nomina in nomina, il rischio di perdere contatto con la realtà e la politica vera

Benevento.  

(effe) - Uno è naturalmente portato a ritenere che siano le migliori menti ad essersi messe all'opera. Almeno, lo spera. Perché immaginare idioti e sprovveduti nei posti dove tutto viene deciso sarebbe come affrontare la vita con la leggerezza di una foglia al vento. La verità è che bisogna ammetterlo: si combatte contro l'improvvisazione al potere, sperando sempre nella possibilità che l'immaginazione prenda a timonare.

La legge elettorale e le liste che ne sono seguite sono lo specchio fedele e drammatico della paura di chi chiamiamo a fare politica. Paura e ossessione di non averne più il controllo. Una mente malata ha partorito un sistema che, alla fine, non costituisce null'altro che il desiderio di non cambiare. La lotta sulla rappresentanza a favore dei territori è una clamorosa balla, contrabbandata da chi, da anni, di quei territori fa carne da macello pur venendone eletto, selezionato come “classe dirigente” solo attraverso una nomina calata dall'alto.

Il caso De Girolamo andrebbe fatto studiare nelle aule della facoltà di scienze politiche e della comunicazione: è il richiamarsi a radici da parte di chi, con quelle radici, da decenni non riesce, non deve, non vuole confrontarsi: perché è inutile secondo la legge dettata dal sistema. L'asserito scandalo consumato ai suoi danni e l'asettica ma glaciale smentita venuta dai vertici dello stesso partito che da decenni la catapulta in un ambiente dove dovrebbe trovarsi il meglio, per una chiamata alle armi venuta dal basso, è un duello finto, teatrale, dove nessuno combatte, perché nessuno ha da perdere veramente ma solo da prendere. Il polverone sollevato è stato il tentativo di controllare il percorso di una foglia nel vento, di mantenere un minimo di pudica coerenza.

De Girolamo, senza aprir bocca, si sarebbe ritrovata generale di un esercito di fantasmi, come la “leva dei morti” di cui Dorso discuteva con Togliatti. Di qui l'onore ritrovato e l'indice puntato contro dirigenti scorretti: come tirare un pugno con una mano, mentre l'altra è stesa a prendere quel che conviene. La verità è che, di nomina in nomina, per strada molti perdono il contatto con la realtà: chi comanda sceglie assecondando il peso dei voti. Mastella ne ha di più. Come Cosimo Sibilia, che gli scontri elettorali sul campo a suo tempo li ha combattuti e vinti. Punto e basta. La fedeltà al leader è un titolo di merito solo grazie a questa ennesima legge elettorale marcia, balorda. La politica è un'altra cosa.