Riceviamo e pubblichiamo, integralmente, la nota inviata dall'avvocato Nunzio Gagliotti, difensore di Andrea Lanzalone, dirigente sospeso del Comune di Benevento, che interviene in merito alla decisione presa dal primo cittadino Pepe:
«Come noto, ho difeso Andrea Lanzalone nell’ambito del procedimento penale la cui pendenza è espressamente richiamata, dandone causa, nel provvedimento di sospensione dal lavoro emesso dal Sindaco, venerdì 3 aprile, nei confronti del medesimo.
Dei contenuti di quella sospensione, taluni hanno pubblicamente reso sbrigativa epitome. Altri ne hanno acutamente indagato i possibili sottostanti reali moventi.
Ebbene, avendola letta integralmente e conoscendo il procedimento penale ivi richiamato, sento il dovere, anche civico, di sollevare alcuni pressanti interrogativi.
In premessa il provvedimento di sospensione ricorda che al tempo dell’applicazione di misura cautelare personale, luglio 2013, il ripetuto dirigente fu sospeso dal servizio; cessata la misura, a settembre 2013, ne fu disposta la revoca dall’incarico al settore finanze con assegnazione ad altro incarico dirigenziale; revoca ed assegnazione che il Giudice del lavoro aveva, con successiva sentenza, ritenuto legittima.
Accadeva poi - e qui la memoria degli eventi attinge esclusivamente al divenire del procedimento penale non essendovene traccia nella recente sospensione - che il P.m., in data 4 aprile 2014, richiedeva, quanto alla posizione del Lanzalone, l’archiviazione, in blocco, dell’originario cumulo accusatorio ad eccezione d’un unico capo relativo a presunto tentativo di concussione inteso a costringere le due responsabili del procedimento nel concorso per ingegnere ed architetto a sostituire la domanda originale d’una candidata con altra domanda “contenente una diversa dichiarazione sostituiva di titoli” (così testualmente il capo d’imputazione, nds.).
In particolare il P.m. riteneva :
insussistente la presunta corruzione od altrimenti l’abuso d’ufficio, di cui al capo 1), in favore d’una dipendente alla quale sarebbe stato attribuito l’incarico di posizione organizzativa pur non avendone costei i requisiti;
insussistente la presunta corruzione di cui al capo 2) descritta come consistita nell’aver affidato l’incarico della preselezione dei candidati ai concorsi pubblici banditi dal Comune di Benevento ad amministratori e consulenti già arrestati per altre irregolarità;
insussistente il presunto abuso d’ufficio di cui al capo 3) consistito, in ipotesi, nell’aver fatto sì che la procedura di mobilità volontaria per la copertura dei posti di funzionario amministrativo contabile categoria D3 avesse esito negativo;
insussistente il presunto falso in atto pubblico di cui al capo 4) in relazione a due dichiarazioni sostitutive di titoli dopo che i titoli erano stati valutati “restando da precisare, se mai ve ne fosse bisogno, che la falsa data apposta dal privato su un atto proprio che non risulta neppure depositato non costituisce alcun reato, restando che la commissione di concorso non doveva neppure prenderlo in considerazione.” (così testualmente la richiesta di archiviazione del p.m., nds.);
insussistente la presunta truffa di cui al capo 5) secondo cui attraverso i falsi di cui al capo 4) i legali rappresentanti dell’Ente sarebbero stati indotti a credere che la selezione per l’assunzione dei dipendenti del Comune fosse regolare;
insussistente il presunto concorso nel reato di falso attribuito alla Fevola Cristina al capo 7) secondo cui sarebbero stati redatti falsi verbali con riferimento al concorso per ingegnere architetto ed al concorso per geometra;
insussistente il presunto abuso d’ufficio di cui al capo 8) secondo cui il concorso a due posti di dirigente sarebbe stato bandito in modo generico al fine di avvantaggiare la candidata interna.
Convincimenti di totale insussistenza di reità tutti condivisi dal G.i.p. il quale, con decreto del 29.4.2014, ritenendo gli elementi acquisiti non idonei a sostenere l’accusa in giudizio, disponeva l’archiviazione dei relativi atti.
Dunque, delle originarie accuse, in virtù delle quali al dirigente era stata comminata la revoca dall’incarico alle finanze e l’assegnazione ad altro incarico, residuava solo quella relativa alla presunta tentata concussione.
Accusa per la quale, in data 3.6.2014, giungeva richiesta di rinvio a giudizio ed annesso avviso di fissazione dell’udienza preliminare nel cui seno il Comune di Benevento era formalmente chiamato a partecipare quale persona offesa. Comune che, però, non si costituiva.
In data 17.11.2014 il G.u.p. emetteva decreto che dispone il giudizio per l’udienza dibattimentale del 12.2.2015 allorquando il Comune, manco a dirlo, non si costituiva.
Dunque, a ben vedere, l’imputazione che muove, da ultimo, a comminare la sospensione del dirigente dal servizio e che lo priva dello stipendio non è che un residuo, una parte - l’ottava parte per l’esattezza - dell’originaria contestazione.
E così, viene effettivamente di chiedersi come possa legittimarsi l’adozione, solo oggi e proprio oggi, d’un tanto più grave provvedimento cautelare.
E non pare convincente - tanto al senso comune quanto al rigoroso vaglio giuridico - la singolare idea, pur grossolanamente agitata con la disposta sospensione - secondo cui quell’unica residuale contestazione diventi ora insopportabile giacchè, transitata per l’udienza preliminare, è ora al dibattimento.
L’udienza preliminare e con essa il giudice dell’udienza preliminare, difatti, non ha la funzione di valutare il merito d’una accusa. Quando dispone il rinvio a giudizio dell’imputato - in assenza di richiesta di definizione del processo con rito abbreviato o con patteggiamento - il cosiddetto g.u.p. altro non fa che sancire la necessità di approfondire al dibattimento l’ipotesi d’accusa rubricata dal pubblico ministero nella richiesta di rinvio a giudizio. E, certamente, nello svolgimento di siffatta funzione non s’incarna alcun “riconoscimento dell’impianto accusatorio” come pure - quasi come mossa da appena percettibile moto di compiacimento - non manca di affermare quella sospensione.
Ad oggi, infatti, quel che è certo è solo che il pubblico ministero ha doverosamente chiesto ed il g.i.p. ha, altrettanto doverosamente, disposto l’archiviazione di ben sette degli otto capi d’accusa originariamente contestati a Lanzalone e che, a suo tempo, ne indussero non già la sospensione dal lavoro e dallo stipendio ma l’assegnazione ad altro incarico.
Quel che ancora è certo è che su quell’unica residuale ipotesi di tentata concussione la stessa amministrazione pubblica e, per essa, la medesima mano - quella che condivisibile più autorevole commento addita ben usa a scagliare la prima pietra - abbia deciso di infliggere, a quasi due anni dall’esordio della vicenda, senza nemmeno prender parte al procedimento penale, mortificante punizione ritenendo gravemente pregiudicata la propria credibilità.
Senza, però, considerare che a quella credibilità attenta, piuttosto, tra l’altro, proprio l’aver disposto l’esecuzione d’una sì degradante sanzione senza consentire all’interessato d’almeno interloquire nel merito del fatto contestato.
Mi chiedo, infatti, quale credibilità riconoscere a quell’autorità che nell’arco di quasi due anni non ritiene doveroso, specie ove intesa a punire severamente, invitare l’interessato a rendere, se lo ritiene, chiarimenti a discolpa.
Massimamente, laddove, come nella specie, la residuale accusa consista e promani integralmente dalle dichiarazioni di due dipendenti, responsabili del procedimento nel concorso per ingegnere ed architetto.
Che se l’avesse fatto avrebbe probabilmente potuto apprezzare che quel che quest’ultime ebbero, l’una sulla scia dell’altra, ad etichettare come illecita richiesta parrebbe, ben diversamente, nella ricostruzione dei fatti attraverso formali documenti, altrimenti equivocata espressione della necessità di concludere il procedimento, della necessità che fosse relazionato per iscritto. Necessità entrambe oggettivamente disattese dalle due r.u.p. o solo apparentemente soddisfatte. Ed, ancora, che se l’avesse fatto avrebbe avvertito il dovere ineludibile di procedere all’audizione delle numerose persone informate sui fatti - almeno otto aventi variamente qualità di dipendenti, r.u.p., rappresentante sindacale od altrimenti rivestenti pubbliche funzioni, anche politiche, in seno al Comune all’epoca dei fatti, ottobre 2012 - le quali tutte risultano puntualmente incluse tra quelle di cui, secondo le scansioni e gli strumenti processuali, Lanzalone ha formalmente richiesto al Tribunale, con atto depositato in Cancelleria il 27.1.2015, audizione in qualità di testimoni.
In altri termini, la tenuta, al dibattimento, di quella residua accusa divenuta - trascorsi quasi due anni - solo da ultimo improvvisamente gravissima appare tutta incentrata sulle dichiarazioni di due dipendenti. E, quindi, inevitabilmente, potendo costituire il prodotto d’una sempre possibile fallace ideazione. Specie laddove altri, parimenti informati sui fatti, fossero in grado - come pure la richiesta di ammissione testi formalizzata il 27.1.2015 espressamente segnala al Tribunale - di riscostruire in tutt’altra e ben legittima prospettiva di piena correttezza l’ambito dell’agire amministrativo riconducibile al dirigente.
Che se l’avesse fatto, ancora una volta e per concludere, probabilmente avrebbe appurato : come la condotta di quel dirigente sia stata, in quella circostanza e non solo, costantemente protesa, all’insegna della trasparenza, verso il raggiungimento degli obiettivi prefissati dalla nota delibera di Giunta di approvazione del P.e.g.; come egli abbia esercitato le funzioni dirigenziali previste dall’art. 107 del D. L.vo 267/2000 magari con decisione ma senza ostacolare né avversare in alcuno modo - anzi continuamente auspicandola col richiedere più e più volte che si relazionasse per iscritto - la dettagliata descrizione delle irregolarità eventualmente riscontrate. Dettami ai quali pienamente si adeguarono le r.u.p. che subentrarono alle due precedenti - queste, per inciso, notoriamente avvinte da vincolo di colleganza trentennale e risalente agli esordi del rapporto di dipendenza con il Comune - senza per questo ricevere alcuna coartazione.
Interrogativi che con l’interessato, con me e con chiunque parteggi per i timbri della trasparenza dell’agire amministrativo, non cesseranno di restare bisognosi di urgente risposta«.