“Ripartiamo, e non perché ci conviene, forse no: ma perché vedere fermo e triste chi, come i miei genitori, ha fondato un ristorante 35 anni fa e da allora non si è fermato fa male davvero”.
Pietro Latessa, titolare de “La Vigna” di Bonea garanzia e punto di riferimento nel Sannio e in Valle Caudina per la ristorazione e per le cerimonie oltre che per l'ospitalità: seconda generazione di chi quella struttura l'ha fatta nascere e crescere.
E in periodo clou quell'azienda che dà lavoro a 28 dipendenti ha dovuto fermarsi per forza: “Avremmo affrontato un marzo pieno tra cerimonie e feste: dico solo che non si conta ciò che abbiamo dovuto buttar via dalle celle frigorifere. Molto è stato donato, ma altre cose abbiamo dovuto per forza buttarle via: uno spreco inaccettabile oltre a un danno economico palese. Sono saltate tutte le cerimonie, molti hanno rinviato in attesa di capire come si evolve la situazione: è una mazzata pesantissima”.
Nessuna intenzione di arrendersi però, nessuna intenzione di abbandonare chi ha visto quel portone rosso aprirsi per la prima volta 35 anni fa: “Abbiamo la fortuna di avere una struttura grande, per cui anche quando ci diranno come dovremo comportarci potremo permetterci di riaprire – spiega Pietro – e rispettare tutte le disposizioni di sicurezza, su cui non prescindiamo perché per noi il rispetto del cliente e dei dipendenti è alla base. Ma oggi siamo in attesa di sapere cosa fare: per noi, per i nostri 28 dipendenti che erano ragazzini quando hanno iniziato e oggi sono ancora con noi, e che non vogliamo in alcun modo far andare via. Proveremo a organizzarci con turni di lavoro e altre accortezze perché per noi la tutela del dipendente e del cliente è prioritaria anche al discorso economico. Spero ci dicano chiaramente cosa fare: siamo pronti ad attenerci alle regole naturalmente, ma serve chiarezza”.
No al delivery, sì all'asporto: “Il primo è un servizio che non abbiamo mai fatto e che in una zona come la nostra, con scarsa densità abitativa e distanze ampie non credo possa funzionare. Il secondo lo facciamo da sempre e riprendiamo a prescindere dalla convenienza, ma proprio perché fa male vedere una struttura come la nostra ferma, così come chi l'ha portata avanti per 35 anni senza fermarsi mai: se sei abituato a lavorare stare fermo è distruttivo”.
Ripartire ora dunque sperando di riaprire presto quelle sale, senza però dimenticare chi è messo peggio: “Con più sale, molto ampie, e una zona piscina per noi sarà possibile ripartire: ma sento altri colleghi, con cui mi confronto ogni giorno, che hanno sale da 50 -60 posti, che dicono che riaprire per 10 – 15 posti è meno conveniente rispetto alla chiusura. Io mi auguro che riaprano tutte le attività del comparto, perché ogni saracinesca abbassata è una sconfitta per il territorio”.
E proprio dal territorio, secondo Pietro, bisognerebbe ripartire: “A prescindere dagli aiuti economici, che pure servono per non rendere disastrosi i danni fin qui avuti, io credo che sia prioritario avviare un programma per incentivare il turismo nelle aree interne: incoraggiando anche con politiche di favore le persone a venire. Credo che la vera scommessa sia questa: anche perché se si lasciano morire le zone interne la vedo dura per tutto il paese”.