Fase 2 e fuga da se stessi: le riflessioni di don Pettenuzzo

L'emergenza e il ruolo delle nuove tecnologie

fase 2 e fuga da se stessi le riflessioni di don pettenuzzo
Paupisi.  

Di seguito la riflessione sulla fase 2 del parroco di Paupisi, don Raffaele Pettenuzzo

“Vorrei cercare di vedere in qualche modo come la rivoluzione provocata dai cellulari abbia influenzato, specialmente in famiglia, i rapporti umani. Ci sono persone in famiglia che non sono capaci di trasmettere amore, sono anaffettive, e cioè, non hanno conosciuto l’affetto e, quindi, sono incapaci di dare affetto. Ma questa incapacità di donare affetto in famiglia può essere ulteriormente alimentata dal cellulare, dal viaggiare in chat e nel web. Eppure il progresso tecnologico ci ha donato la grande possibilità di metterci in contatto e in rapporto diretto con tante persone. Tuttavia, internet insieme con il cellulare, pur essendo una risorsa enorme per la comunicazione, crea anche nuove trappole per la mente e la nostra psicologia umana sia nei giovani e sia negli adulti. La tecnologia (chat, internet, ecc.) e, quindi, il cellulare viene spesso utilizzato per scappare dalla nostra incapacità di restare soli e di convivere con noi stessi nei momenti di tristezza. La presenza corporea, il fatto, cioè, che io vedo i suoi occhi, vedo i suoi capelli, è sempre stata per noi fondamentale prima che comparisse il cellulare per poter entrare in rapporto diretto con una persona e costruire con lei rapporti umanamente belli, fatti anche di sorrisi e di qualche abbraccio.
La presenza corporea è importante per capire i sentimenti della persona che può essere lì con me in quel momento. Ad esempio, io capisco dalla luce che traspare dagli occhi di una persona se le sto recando piacere o le sto provocando dolore, capisco dal suo sorriso se da lei sono accolto e gli sono simpatico. Ma venendo meno con il cellulare il contatto fisico non sono sicuro di capire quello che una persona veramente vive con me in quel momento (cioè, non ci può essere tra me e lei una vera empatia frutto della nostra vicinanza corporea). Di conseguenza, non potrò mai sapere quanta verità o falsità c’è in quel rapporto che stiamo vivendo in quel momento.
Inoltre, molto spesso per scappare da sensazioni spiacevoli si trascorre tanto tempo al cellulare, viaggiando in web o in chat. Mi spiego: sono annoiato? Vado in chat. Ho un momento di gelosia con il mio partner? Vado in chat. Non so cosa fare di fronte a un problema? Vado in chat. Praticamente scappo dai problemi e quello che dovrebbe essere un mezzo positivo e costruttivo, per intessere comunicazioni e rapporti umani sinceri e pieni di dignità, diviene invece un mezzo per dei rapporti non autentici e per fuggire da me stesso.
Lo studioso Sherry Turkle avrebbe affermato nel suo libro ("La conversazione necessaria – La forza del dialogo nell’era digitale") di aver scoperto, attraverso un indagine sociologica, che la maggior parte degli intervistati, che frequentavano i social network, non sembrarono avere alcun interesse ad aumentare i loro rapporti umani e che le loro frequentazioni in chat, ad esempio, erano in realtà il tentativo di scappare da sensazioni sgradevoli e negative che vivevano in famiglia. Il loro desiderio di chattare con il cellulare non nasceva dal piacere di costruire rapporti nuovi, ma nasceva dalla necessità di scappare da sensazioni e da emozioni negative, cercando in questa maniera di rifugiarsi in un proprio mondo superficiale dove però ci si scopriva incapaci di trasmettere sentimenti veri e di costruire rapporti umani autentici. Il mondo digitale e tecnologico, quindi, è una grande risorsa per l’umanità, si pensi ad esempio dal punto di vista dell’insegnamento quali benefici può portare! Tuttavia, il mondo digitale, che noi viviamo attraverso il nostro cellulare, può anche essere utilizzato per fuggire dalla realtà, causando un complessivo impoverimento dei rapporti in famiglia. Capiamo, allora, che nel momento in cui noi scappiamo dalle nostre situazioni tristi e ci rifugiamo nel mondo che il cellulare ci offre tendiamo a mascherare le nostre fragilità e la nostra vulnerabilità, diventando in questo modo sempre più succubi di comportamenti che non hanno nulla a che fare con una vera umanità.
La sofferenza così come la tristezza nel momento della Creazione non c’erano ed è con il peccato originale che esse sono entrate nel nostro mondo, purtroppo. Come si vive il dolore non è quasi mai un tema di insegnamento neanche nelle nostre realtà cristiane, ma piuttosto si tende a scappare da se stessi e da questo tipo di sentimento, si fa di tutto per non pensare alla sofferenza che sto vivendo e invece di risolverla non faccio altro che aumentarla, trasformandola alla fine in angoscia esistenziale. Bisogna saper vivere i propri sentimenti anche quelli più dolorosi come la tristezza, vivendo i momenti di disagio interiore e capire che fanno parte della nostra umanità, fanno, cioè, parte della nostra creaturalità e fragilità. Ad esempio, quando nella vita familiare capita che qualcuno si innamori di un altro, uomo o donna che sia, è la tragedia; non è così? Credo di sì. Ma chi l’ha mai detto che l’innamoramento non dovrebbe mai entrare nella vita familiare? E quindi se capita, cosa facciamo? Conficchiamo la testa nella sabbia? Assolutamente no, ma è l’occasione per fermarci e rivedere noi stessi per ritrovare più autenticamente il nostro modo di vivere i rapporti umani. Non è che oggi mi innamoro e domani mattina mi disinnamoro, non sono una macchina, ma nemmeno posso far finta di non essermi innamorato.
Concludendo, i miei sentimenti vanno riconosciuti da me ma non negati, e poi, in seconda istanza, dobbiamo consapevolizzarci su quello che noi siamo e su quello che noi intravediamo come progetto di Dio su di noi”.