Si possono mescolare piacevolmente il jazz e l'opera lirica? Dopo aver assistito al concerto di Hakon Kornstad, ieri sera all'Arco del Sacramento per la prima di Riverberi, la risposta non può che essere un sì entusiasmato.
Certo, occorrono una spiccata capacità di conquistare la scena, una notevole audacia, un'impareggiabile tecnica. Tutte caratteristiche del jazzista norvegese.
Attraverso il sassofono o la sua voce riesce ad esprimere la sua arte e a trasmetterla, dal profondo del cuore, al pubblico. Parla un italiano stentato Hakon ma suona e canta divinamente. E sperimenta, gioca, prova, azzarda, conquista. Il pubblico dell'Arco del Sacramento lo segue ipnotizzato, nota dopo nota, brano dopo brano fino a “Oslo”, composizione dell'artista che gli spettatori scandiscono con le mani. Il sigillo all'eccezionale concerto è la voce con Marechiare, il capolavoro assoluto di Salvatore Di Giacomo.
Poi la serata vira verso altri ritmi. E' il giovanissimo Mattia, presentatore ufficiale del festival ad introdurre la Banda del Bukò, formazione tutta sannita nata dalla voglia di sperimentare solo un anno e mezzo fa. Un laboratorio di idee che, proprio grazie alla neo nata etichetta del festival, l'omonima Riverberi, ha appena pubblicato il suo primo cd in collaborazione con la Croce Rossa di Benevento. Ed è proprio proprio il suo presidente, Stefano Tancredi, a premiare la formazione qualche minuto prima dell'esibizione che ha accompagnato per mano il pubblico tra i ritmi scatenati e travolgenti di Rosmarinus. Il disco “impasto tra sonorità locali e suggestioni balcaniche” è dedicato ad Emanuele Vicerè, giovanissimo fondatore della banda scomparso prematuramente.
E infatti il Rosmarino pianta del ricordo, di leggende e tradizioni richiama i passi che hanno condotto al lavoro. Il profumo della più nota e resistente tra le piante mediterranee pervade l'Arco del Sacramento. L'emozione è palpabile.La musica, solo la musica e l'energia di questi giovanissimi potevano chiudere una così splendida serata.
Mariateresa De Lucia