Selvaggio, una janara nella Grande Mela

Il libro “L'Arcistrea. Bellezza Orsini” dell'autrice telesina è alla New York Public Library

Benevento.  

Incantesimo e suggestione. Leggenda madre e capacità di narrazione. Il fascino inesauribile di una storia e la sapienza di renderla unica, viva, intensa e palpitante. Sono solo alcune tra le chiavi del successo di un libro che sin dalla sua uscita, nel 2008, continua a raccogliere riconoscimenti.

 

E' “L'Arcistrea. Bellezza Orsini” della scrittrice telesina Maria Pia Selvaggio. Il libro, pubblicato da Spring, ha conquistato successi oltreoceano e ora incanta anche nella Grande Mela. Il romanzo, infatti, è entrato a far parte della New York Public Library la terza più grande biblioteca dell'America del Nord che ha filiali nei quartieri di Manhattan, Bronx e di Staten Island. Un paradiso degli appassionati della pagina scritte che conta 87 biblioteche: quattro specializzate da cui non è possibile prendere libri in prestito, quattro principali che prestano i volumi, una biblioteca per i non vedenti e diversamente abili, e 77 biblioteche suddivise nelle filiali degli altri quartieri.

 

Una 'partecipazione' che esporta la storia-madre del Sannio in America. Bellezza Orsini, infatti, è la 'strea' più nota tra quelle del Sannio. Narrare la sua leggenda è stata, per la scrittrice telesina, una sfida vinta. Uno dei libri ai quali l'autrice si sente più legata, come ha più volte confessato. E c'è da dire che Maria Pia Selvaggio è un'autrice prolifica: nel 2006 il suo primo romanzo “Il sapore del silenzio” a cui seguono “Borgofarsa”; “L’Arcistrea” e “Lei si chiama Anna”. Fino “Ai Templari il settimo libro”. E' dello scorso anno “A Propridade Nu@”.

 

Dall'Arcistrea: “Sono stata imprigionata, innocente sono stata torturata e innocente devo morire. Lo sai, chiunque viene rinchiuso nella prigione delle streghe viene torturato fino a quando si decide ad inventare una confessione qualunque. Il delegato alle torture mi ha schiacciato i pollici, di modo che il sangue usciva dalle unghie e da tutte le parti e, come vedi, la fatica di scriverti due righe è segnata nella stortura dello scritto. Mi hanno spogliata, legata, imbavagliata con una pezza piena d'aceto e sale nella bocca, le mani legate dietro la schiena e sottoposta alla "strappata". Ho pensato, cuore mio, che il cielo e la terra erano giunti alla fine, ho toccato l'arco dell'orizzonte del dolore: per otto volte mi hanno issata e poi lasciata cadere, in modo che io soffrissi terribilmente sempre di più”.

 

Mariateresa De Lucia