Inseguire il vento. Chasing the wind. E' la proiezione in programma questa sera, alle 19.30, a LabUS (Laboratorio Uscita di Sicurezza) di Piazza Orsini. E' il film di Filippo Ticozzi, prodotto da La città incantata con Effendemfilm. La proiezione arriva nell'ambito del circuito Nomadica.
Karine è una tanatoprattora. Persona solare ed estroversa, dopo aver lavorato come infermiera sceglie di dedicarsi a quest'oscura disciplina, diventando una delle maggiori esperte europee. La sua è una passione fortissima, quasi una sfida: giocare con la morte, rubandole gli attimi prima del nulla. Momenti in cui l'inadeguatezza umana si confronta con la ricerca di un'impossibile perfezione. Il film segue Karine nelle ritualità della vita privata e di quella lavorativa, interrogandosi sulla possibilità di trovare qualcosa a ridosso del niente. Indagine esistenziale che, partendo dal ritratto di una donna enigmatica, scava nell'interiorità dell'autore, in un rispecchiarsi di ossessioni, inquietudini e desideri tra soggetto filmante e soggetto filmato. Un'opera intensa e coraggiosa, radicata nella brama innata di fermare il tempo: il tempo naturale della vita e delle mutazioni, il tempo filmico dell’illusione e degli affetti.
Il documentario non sembra preoccuparsi di raccontare una storia organica: compie piuttosto un vero atto di fede verso l’immagine, il suo mistero e i suoi significati, nel tentativo di dare forma a un bisogno e una ricerca. Fin dal quoeletiano titolo e dalle prime scene del film, che vedono il regista come sospeso nel tempo di fronte a un prato di montagna, Inseguire il vento vuole testimoniare il travaglio e lo spiazzamento di una sfida quasi impossibile: quella di identificare il confine tra la vita e la morte attraverso lo strumento del cinema, e fare dello studio di quel confine un momento emotivo di scoperta e di relazione. La presenza di Ticozzi, costante in tutto il film, si ridimensiona per lasciare spazio al ritratto di Karine, esperta francese di tanatoestetica e tanatoprassi, le pratiche che curano cioè il restauro e la preparazione delle salme prima che esse siano esposte ai familiari.
Gli impassibili dettagli con cui viene raccontato il lavoro della donna si alternano a malinconiche sequenze che testimoniano la sua vita quotidiana in Italia: i rituali stranianti degli ambienti domestici, gli spostamenti solitari all’interno della città, la tensione con cui Karine nutre la propria ossessione attraverso esperienze visive che inevitabilmente chiamano in causa il mondo dell’arte. Anche la donna, come il regista, è un fantasma in ricerca, e le nature morte che essi tentano di individuare e sondare sono, al contempo, momento di visibile deterioramento e barlume di inafferrabile eternità.
Madel