Cazzullo: torniamo ad occuparci delle persone

La crisi della verità. Questo il tema al centro dell'incontro per il Festival filosofico Sannio

Benevento.  

«Benevento? La conoscevo per aver partecipato a un matrimonio e per aver preso una multa sulla Telesina». 
In due mosse Aldo Cazzullo conquista la platea al Festival Filosofico del Sannio che, nella sua terza edizione è dedicato alla verità.
Con le capacità del bravo giornalista dimostra che la crisi di questo lavoro, e più in generale della verità, è legata al trionfo vacuo e narcisista dell'opinione sui fatti.
Prima della lectio magistralis all'evento promosso dall'associazione culturale Stregati da Sophia i saluti della presidente Carmela D'Aronzo e del sindaco Clemente Mastella.

 

«Faccio un mestiere che sta morendo – confessa Cazzullo -. E' vero che cercheremo di trasferire i contenuti dalla carta al web ma non sarà mai più la stessa cosa. Sono molto preoccupato per il futuro del mio mestiere, per i giovani giornalisti e per i ragazzi che vorrebbero fare questo mestiere che è bellissimo soprattutto se lo fai coincidere con la vita. Se vivi la vita delle persone normali. Invece se ti chiudi nella tua torre d'avorio, ti trinceri dietro al computer, ti fai un'idea artefatta del mondo e della vita e non saprai nulla per cui renderai un pessimo servizio ai tuoi lettori». 
L'appello di Cazzullo è un ritorno ai fatti, dunque. A conoscere quella vita che si deve raccontare.

Lo scrittore individua nei social solo una delle cause del problema. «Sta crescendo una giovane generazione di giornalisti convinta che i confini del mondo coincidano con i confini della loro testa. Che l'opinione sia tutto e la realtà nulla, che il giornalismo sia litigare via Twitter con Celentano, per citare Antonio Albanese. Poi ci sono i social che sono una sorta di specchio a servizio non dell'informazione o della verità ma del nostro narcisismo dove tutti parlano e nessun ascolta, ed è per questo che molti sentono il bisogno di urlare. Questa è una degenerazione della vita comune».

Ma Cazzullo specifica: «La rete non è in sé un bene o un male. E' un'opportunità. Dipende da noi trasformarla in un'opportunità positiva e non in una negativa che avveleni ulteriormente la nostra vita pubblica che è già molto violenta». 
Cazzullo guarda alla società: «la gente è arrabbiata e depressa, c'è un degrado dei rapporti umani di cui la rete è specchio».
Nell'inquadrare la società Cazzullo specifica come «l'indignazione sia sana, la calunnia ingiustificata no. La protesta giusta, il lamento non serve a niente». Eppure nell'Italia di oggi sono le seconde ipotesi a vincere.

Il suo messaggio ai ragazzi è un quadro della realtà che vivono. Che è sì difficile per la mancanza di sicurezze ma è chiaramente più comoda di quella che hanno vissuto i loro nonni o i loro padri. 
Il problema, invece, è la visione del mondo che prima «non era migliore di quello di oggi ma stava crescendo. Oggi, invece, l'Italia è un paese depresso».

E in un mondo come questo la verità non ha più lo stesso significato. «E' la post verità. – Commenta lo scrittore che però chiarisce – Ma i social non possono cambiare realtà. Possono contribuire a rafforzare una tendenza in atto in tutto il mondo che è la rivolta contro l'establishment, contro l'elite, contro i partiti, i sindacati, le forme tradizionali di rappresentanza e anche contro i media. Sta ai media dimostrare il contrario, cioè di essere dalla parte dei cittadini».

 

Mariateresa De Lucia