Nove condanne ed un'assoluzione sono state decise questa sera dal giudice Murgo per le dieci persone di Benevento coinvolte a vario titolo in una indagine antidroga del sostituto procuratore Francesco Sansobrino e dei carabinieri della Compagnia di cui l'opinione pubblica era venuta a conoscenza nel febbraio 2022, quando era stata eseguita una ordinanza di custodia cautelare che aveva riguardato solo sette indagati.
In particolare, queste le pene comminate: 8 anni a Daniele Pizzone, 30 anni- assolto da un capo di imputazione - 6 anni e 6 mesi a Salvatore Giangregorio, 37 anni, 6 anni e 4 mesi a Grazia Lepore, 48 anni, 6 anni e 2 mesi a Franco Silvino, 49 anni, 4 anni e 2 mesi a Luisa Francesca Campana, 23 anni, 2 anni e 6 mesi a Mario De Nisi, 30 anni, 9 mesi a Giuseppe Tassella, 40 anni, 8 mesi a Vincenzo D'Amore, 50 anni, 6 mesi a Rino Cosimo D'Amore, 38 anni. Assolta, invece, per non aver commesso il fatto, Cristina Boffa, 47 anni. Sono stati impegnati nella difesa gli avvocati Gerardo Giorgione, Claudio Fusco, Federico Paolucci ed Elena Cosina.
L'inchiesta, che aveva già fatto registrare un patteggiamento ed una condanna con rito abbreviato, era stata avviata dopo quattro attentati – due dinamitardi, gli altri incendiari – dei quali avevano fatto le spese, dal dicembre 2019 al maggio 2020, la Megane e la Kia Picanto di una famiglia di Benevento. Atti scatenati, secondo gli inquirenti, da dissidi legati agli stupefacenti: punto di partenza di una attività investigativa che, corroborata da intercettazioni telefoniche e ambientali, servizi di controllo, perquisizioni e sequestri, acquisizione di tabulati telefonici, analisi di telecamere ed escussione dei testimoni, avrebbe consentito “di acquisire gravi indizi in ordine ad una quotidiana e frenetica attività di cessione posta principalmente in essere da uno degli indagati, al momento dei fatti sottoposto all’obbligo di dimora in Benevento, nonché dalle altre persone destinatarie di misura cautelare, quali concorrenti in moltissime cessioni, ad individuare anche il fornitore di sostanza stupefacente (il cugino di uno degli indagati, residente a Napoli) e gli acquirenti di stupefacente destinata ad ulteriori e successive cessioni”.
Ricostruito il modus operandi di decine di episodi di cessione: tra essi anche “l’acquisto di 1,9 chili di marijuana, per un totale di 11mila euro di valore di scambio, e la cessione di un'altra partita di marijuana per ulteriori 10mila euro, mentre nel corso dell’indagine sono state arrestate 2 persone (per le quali si è proceduto separatamente), sono stati sequestrati 120 grammi di cocaina, un’autovettura e un micro telefono utilizzato da persone aventi il ruolo di corrieri, nonché 20 grammi di marijuana che erano parte di una delle ingenti forniture sopra indicate”.
All'epoca era anche stato ricordato il fermo che il 29 luglio 2020 il Pm aveva firmato, sul presupposto del pericolo di fuga, a carico di Pizzone. Attenzione puntata sul contenuto di un colloquio dell'8 luglio, registrato all'interno di una macchina, dal quale sarebbe emerso che Pizzone “temendo o addirittura sostenendo di essere a conoscenza dell’imminente chiusura delle indagini nei suoi confronti, manifestava l’intenzione di volersi allontanare –anche reperendo documenti falsi- in un villaggio ove sarebbe stato difficilmente individuato”.
Una versione che l'allora 26enne aveva respinto, precisando che stava scherzando. Aveva aggiunto di essere rimasto in città, di non aver mai organizzato alcuna fuga, né di aver mai acquistato un biglietto da viaggio. Era rimasto a Capodimonte, dove, sostiene l'accusa, avrebbe “effettuato illegalmente telefonate ad alcuni degli indagati, informandosi sullo stato delle indagini e dando indicazioni su ulteriori cessioni ovvero sul denaro da recuperare”, poi dopo otto mesi aveva ottenuto i domiciliari.