Caso Toti, la differenza tra l'avvocatura in giudizio e quella sulle scartoffie

Benevento. L'intervento dell'avvocato Gino De Pietro

caso toti la differenza tra l avvocatura in giudizio e quella sulle scartoffie
Benevento.  

Riceviamo e pubblichiamo un intervento dell'avvocato Gino De Pietro sul caso Toti.

Nonostante l’urgente parere del prof. Sabino Cassese, già ministro, già giudice costituzionale, già presidente di vari enti, già mancato Presidente della Repubblica alle ultime due elezioni, Toti resta ai domiciliari per ordine del Tribunale del Riesame che ha respinto le richieste della difesa dell’arrestato. La difesa, discostandosi dal parere del suo consulente Cassese, ha dichiarato che presenterà ricorso per cassazione e non si rivolgerà alla Corte Costituzionale in via principale, come aveva suggerito il consulente. Toti, arrestato il 7 maggio per gravi reati contro la PA e la fede pubblica – corruzione, corruzione elettorale e falso – non ha risposto alle domande del GIP in sede di interrogatorio di garanzia e non ha presentato, come tutti gli altri arrestati, alcuna richiesta di riesame.

Non essendovi stata impugnazione, l’ordinanza cautelare è passata in giudicato cautelare, vale a dire che si ritengono sussistenti sia i gravi indizi di colpevolezza che le esigenze cautelari allo stato degli atti e che solo fatti sopravvenuti possono modificare la valutazione giudiziaria. Toti, dopo il rigetto della richiesta di revoca o attenuazione della misura cautelare per sopravvenuta carenza o attenuazione delle esigenze cautelari, ha proposto appello al Tribunale di Genova che lo ha respinto.

La valutazione che Toti meriti di restare agli arresti non è più solo dei PM richiedenti e del GIP che l’ha adottata, ma anche del Tribunale di Genova, in composizione collegiale, che ha confermato il provvedimento. Non avendo nessuno degli indagati proposto riesame contro l’ordinanza cautelare, non c’era stata l’opportunità di ottenere una verifica della solidità del provvedimento adottato dal GIP da parte dei tre giudici del collegio del tribunale della libertà. Tale fatto, conseguenza dell’inerzia difensiva degli indagati – certamente correlata ad una loro precisa scelta processuale non trattandosi di poveri maghrebini difesi d’ufficio – come spesso accade in questo bizzarro paese, sembrava quasi denotare una intrinseca fragilità della misura adottata, invece di significare che ragioni per impugnarla non vi fossero. Per la seconda volta, in quanto il tribunale ha anche, precedentemente, lasciato in carcere Signorini, il collegio del tribunale della libertà ha confermato gli arresti per Toti.

Il prof. Sabino Cassese, già giudice costituzionale e professore emerito di diritto, ha rilasciato un parere urgente alla difesa sui profili di incostituzionalità della misura cautelare che ha colpito Toti. Il parere è disponibile in rete e affronta vari temi: il buon andamento della PA, l’elettorato passivo, il divieto di misure interdittive per le cariche elettive e invita, in conclusione, il tribunale a tener presente tutte queste esigenze nel bilanciamento di interessi costituzionali in apparente conflitto, visto che il GIP non l’aveva fatto. Termina col suggerimento di rivolgersi alla Corte Costituzionale, in via incidentale o principale, in caso negativo. Benchè una critica nel merito giuridico a parere di cotanto personaggio possa risultare pretenziosa ed ingannevole, pure è doveroso cercare di capire meglio. Il primo punto critico del parere è dato dalla mancata considerazione del fatto che sul provvedimento è maturato il giudicato cautelare, completamente negletto dall’eminente professore a riposo. Le considerazioni svolte potevano avere un peso eventualmente se proposte nell’istanza di riesame del provvedimento originario, non al momento in cui ci si trova. Il secondo è costituito dall’indicazione di gravare la valutazione del giudice penale in materia di status libertatis estendendola ad ambiti e a fatti estranei alla sua sfera di cognizione e rientranti nella competenza della pubblica amministrazione per i quali il giudice penale non è assolutamente “attrezzato”, non ha competenze e deve decidere in un tempo assai ristretto.

Essendo maturato il giudicato cautelare, non era ammissibile nessuna questione relativa all’esistenza originaria dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari. Il principio è pacifico nella giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione e nella dottrina in argomento. L’appello non riguardava i gravi indizi di colpevolezza, che, quindi, il Tribunale non poteva sottoporre ad alcuna valutazione, vincolato al principio devolutivo secondo cui si può discutere in appello solo di ciò di cui l’impugnante si è lagnato. L’ambito di valutazione del tribunale, per precisa scelta della difesa di Toti, era circoscritto alla sopravvenuta carenza o attenuazione delle esigenze cautelari. In relazione a tale questione, il tribunale ha ritenuto ancora sussistente il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie, visto che, una volta liberato, Toti potrebbe riprendere ad esercitare le sue funzioni monocratiche di capo dell’amministrazione regionale nella pienezza dei poteri, di cui ha dato prova di fare così cattivo uso, da finire agli arresti per gravi e ripetute ipotesi di reato. Una volta risolta tale questione, nessun residuo potere restava al tribunale per “andare incontro” alle alate questioni sollevate nel parere, visto che, ancora una volta secondo la costante giurisprudenza di legittimità e in base alla stessa sistematica dell’istituto processuale in questione, qualora il giudice adito per la revoca di una misura cautelare per sopravvenuta carenza di esigenze cautelari ritiene le stesse ancora sussistenti, non può far altro che confermare la misura.

Nel parere, aldilà della proclamazione di principi generali, non c’è alcun confronto coi dati della realtà processuale, che è il vero oggetto della funzione giudiziaria. Toti, presidente regionale, è agli arresti per gravi reati commessi – secondo l’ipotesi accusatoria avallata dal GIP e dal tribunale di Genova – nell’esercizio delle sue funzioni pubbliche di cui egli non ha inteso spogliarsi attraverso le dimissioni e di cui la sua maggioranza non ha inteso privarlo attraverso la sfiducia. E’ in re ipsa, nella stessa natura delle cose, che ricorra il pericolo di reiterazione dei reati nel caso in cui ritorni al suo ruolo di amministratore apicale monocratico. E’ talmente evidente che viene in mente una nota massima pretoria: “In claris non fit interpretatio”, non c’è alcuna necessità di interpretare ciò che è chiaro. Non si lascia il violentatore nel collegio delle educande, nè il tentato omicida a contatto con la potenziale vittima. La volpe, secondo la saggezza fedriana, non si lascia a custode delle pecore, e il carabiniere che falsifica i verbali lo si caccia “a pedate” dall’Arma. Cassese non si è confrontato col dato processuale e, scaltramente, si è posto nella posizione defilata del “consulente” in luogo di quella scomoda del difensore, perdipiù invocando nel parere “l’urgenza” col quale l’ha dovuto rendere, così da poter eventualmente scaricare ogni possibile difetto della sua “impostazione” sulla rapidità con cui l’ha dovuto redigere.

Egli avrebbe preteso dal giudice penale un bilanciamento di interessi, come se si trattasse del tribunale amministrativo regionale, o, ancor meglio, di un amministratore pubblico. La funzione giudiziaria penale è estremamente caratterizzata dal principio di stretta legalità. Si può essere condannati solo per un fatto specificamente previsto da una legge come reato. Le legge, inoltre, deve essere precedente al fatto-reato. Nello stretto ambito di questa cognizione si svolge il giudizio penale e, quindi, anche il giudizio incidentale relativo alle misure cautelari. Solo se ne ricorrono i presupposti, si adottano ma, ex adverso, se ne ricorrono i presupposti sono doverose, tant’è che il PM può ricorrere contro il diniego del GIP alla misura richiesta. L’amministratore pubblico dispone di organi tecnici, può ricorrere alla consulenza dell’Avvocatura dello Stato, se previsto addirittura al parere del Consiglio di Stato, può incaricare personale estraneo alla PA per fornire pareri… tutto ciò non è dato al giudice penale che, in materia cautelare, deve procedere anche con tempi ristrettissimi, nel rispetto del diritto alla libertà. Cassese avrebbe desiderato che il tribunale di Genova, nei pochi giorni concessigli dal codice di procedura penale, valutasse l’impatto della misura cautelare sull’elettorato passivo di Toti, sulla rappresentatività dell’amministratore “privato della libertà”, sul buon andamento della PA… L’elettorato passivo di Toti non ha subito alcun vulnus, visto che resta intatto: se desidera candidarsi, lo può fare. Si deve vedere quanti voti prende, mentre è agli arresti domiciliari. Forse Toti, a differenza di Cassese, dubita di essere rieletto, perciò non si vuole dimettere. E’ per lui l’ultima Thule. Sul buon andamento della PA, basterebbe “far tesoro” delle continue propalazioni dei suoi assessori, tra cui il nipotino di Claudio Scajola, ben noto alle cronache giudiziarie, e dei suoi consiglieri di maggioranza che giurano che tutto va bene a Genova. Forse Cassese sa qualcosa che neanche i fedelissimi del suo assistito sanno? In ogni caso, quanta corruzione è accettabile per conservare la “rappresentatività” di Toti? Cassese ha scritto il parere su sua carta intestata dove compaiono i vari suoi titoli accademici senza che vi sia menzione di quello di avvocato. Orbene, esiste una norma che riserva agli avvocati la consulenza professionale stragiudiziale in materia legale vietandola ai non iscritti.

Com’è noto la violazione viene punita a titolo di esercizio abusivo della professione forense che è un’ipotesi di reato. Se Cassese non è avvocato e così sembrerebbe, visto che non compare tale titolo nella carta intestata su cui è redatto il parere, potrebbe anche ipotizzarsi un illecito penale da parte sua. Per il rispetto dovutogli, sarebbe il caso di chiedergli un parere in merito prima di procedere. Alla fine del suo parere, Cassese consiglia la difesa Toti a ricorrere, in via incidentale o principale, alla Corte Costituzionale, nel caso in cui il tribunale di Genova non dovesse effettuare i “bilanciamenti” da lui ritenuti imprenscindibili. Premesso che, per attivare il giudizio incidentale di legittimità, è necessaria un’ordinanza del giudice adito che ritenga la questione ammissibile e non palesemente infondata e, quindi, è sottratto al potere dispositivo, finanche di Toti, la difesa ha già dichiarato che ricorrerà in Cassazione, implicitamente disattendendo il parere di Cassese. Orbene, se questo parere non è buono neanche per la difesa di Toti che lo ha chiesto e, immagino, profumatamente pagato, perchè dovrebbe essere ottimo per il tribunale di Genova e perfetto per noi poveri cittadini italiani? Lasciamo che a fare il tifo, da suo pari, resti Nicola Porro, fulgido esempio di giornalismo imparziale e di alto profilo tecnico e morale.

Comunque, per incidens, il difensore di Toti ha scelto l’unica strada prevista dal codice di procedura penale e un ricorso che dovrebbe decidersi al massimo nei prossimi tre-quattro mesi. A non parlar d’altro, quanto tempo avrebbe impiegato la Corte Costituzionale a decidere un eventuale ricorso in via principale, concesso ipoteticamente che fosse ammissibile? Questa è la differenza tra l’avvocatura in giudizio e quella sulle scartoffie, avrebbe detto un Tom Cruise in forma smagliante alla sua superiore Demi Moore, in un famoso film di molti anni fa.