'Truffa straordinario': condannati due poliziotti, assolti altri tre

Benevento. L'inchiesta della Digos, la sentenza del Tribunale

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Benevento.  

Due condanne e tre assoluzioni. Le ha decise (aggiornamento ore 16.40) il Tribunale (presidente Pezza, a latere Murgo e Perrotta) al termine del processo a carico dei cinque poliziotti tirati in ballo a vario titolo in una inchiesta della Digos su una presunta truffa in materia di ore di straordinario.

Nel dettaglio: concesse le attenuanti, condanna a 3 anni e 8 mesi per Giovanni Lollo (avvocato Marcello D'Auria), di Benevento – gli incarichi sono quelli all'epoca dei fatti -, ispettore superiore presso l'Ufficio prevenzione generale e soccorso pubblico, per il quale sono stati anche disposti l'interdizione dai pubblici uffici ed il divieto per 5 anni ad avere rapporti con la pubblica amministrazione. Lollo è stato ritenuto responsabile di peculato, truffa, falso e rivalazione di segreti d'ufficio, mentre è stato assolto, perchè il fatto non sussiste o non è previsto dalla legge come reato, da altre imputazioni di falso e omissione in atti di ufficio.

Per l'addebito di rivelazione di segreti d'ufficio, concesse le attenuanti e la sospensione della pena, è stato condannato a 3 mesi e 20 giorni Achille Botticella (avvocato Domenico Russo), di Sant'Angelo a Cupolo, da tempo in pensione.

Assolta da ogni accusa, perchè il fatto non sussiste o non è previsto dalle legge come reato, Maria Cantone (avvocato Angelo Leone), di Montesarchio, assistente capo coordinatore della Digos, scoppiata in un pianto liberatorio al momento della sentenza.

Assolti, perchè il fatto non è previsto dalle legge come reato e per la lieve tenuità del fatto, Giuseppe Tretola (avvocato Antonio Leone), di San Leucio del Sannio, e, perchè il fatto non sussiste, Gianni Nardone (avvocato Vincenzo Sguera), di San Martino Sannita. 

Il pm Maria Colucci, come anticipato, aveva proposto 4 anni per Lollo, 2 anni per Cantone, 1 anno e 3 mesi per Tretola, 9 mesi per Botticella, l'assoluzione di Nardone e quella di Lollo per due imputazioni di omissione in atti di ufficio e falso. A seguire, le arringhe dei difensori, poi, alle 16.20 la lettura del dispositivo.

Per Cantone le accuse di truffa, falso, omissione in atti di ufficio - relative alle attestazioni di entrata ed uscita dei mezzi, alle ore di straordinario e ai controlli sui cittadini stranieri-, per Lollo anche quelle di peculato ( uso ritenuto improprio di auto e computer) e rivelazione di segreti di ufficio (con Botticella).

L'inchiesta era rimbalzata all'onore delle cronache alla fine di luglio 2021, quando Lollo e Cantone erano stati colpiti dalla sospensione per un anno dall'esercizio dei pubblici uffici. La misura era stata revocata a Cantone dopo l'interrogatorio di garanzia e confermata anche dal Riesame e dalla Cassazione per Lollo.

Entrambi avevano respinto gli addebiti dinanzi al gip Vincenzo Landolfi. Cantone aveva richiamato, per sottolineare la correttezza dei suoi comportamenti, una autorizzazione del Questore, che durante il lockdown del 2020 (a suo carico episodi tra marzo e maggio, per un importo complessivo di circa 480 euro ), d'intesa con le rappresentanze sindacali, avrebbe chiesto al personale turni di lavoro a gruppi dalle 8 alle 20, con la possibilità di anticipare di un'ora l'orario di inizio e di posticipare di due quello della conclusione, per non perdere lo straordinario programmato.

Da parte sua, Lollo ( per lui truffa e tentata truffa sullo straordinario per 150 euro complessivi) aveva rivendicato di aver fatto sempre più del dovuto, e solo per motivi di ufficio. Aveva escluso di aver usato l'auto di servizio per fini personali, aveva motivato il possesso di un computer che gli era stato sequestrato in casa durante una perquisizione con la circostanza che il giorno successivo sarebbe stato in smart working. Inoltre, aveva precisato sempre di aver fatto i controlli incriminati,spiegando l'accesso alla banca dati con ragioni di ordine pubblico legate alle richieste che gli arrivavano da Botticella, un ex collega, preoccupato per il susseguirsi di furti nel centro della provincia di cui era consigliere comunale con delega alla sicurezza. Da qui la ricerca di informazioni sulle targhe di alcune macchine sospette.