Matteotti, un martire andato consapevolmente incontro alla sua sorte

Benevento. L'intervento

matteotti un martire andato consapevolmente incontro alla sua sorte
Benevento.  

Riceviamo e pubblichiamo un intervento del professore Massimo De Pietro.

Il 30 Maggio 1924, 100 anni fa, Giacomo Matteotti, segretario del Partito Socialista Unitario, prese la parola alla Camera dei deputati contestare i risultati delle elezioni del 6 Aprile. Mentre dai banchi fascisti si levavano contestazioni e rumori che lo interrompevano più volte, Matteotti denunciò una nuova serie di comprovate violenze, illegalità e abusi commessi dai fascisti per riuscire a vincere le elezioni.

Esordì dicendo: “Contestiamo in questo luogo e in tronco la validità delle elezioni della maggioranza. L'elezione secondo noi è essenzialmente non valida, e aggiungiamo che non è valida in tutte le circoscrizioni. Per vostra stessa conferma (dei parlamentari fascisti) dunque nessun elettore italiano si è trovato libero di decidere con la sua volontà... Vi è una milizia armata, composta di cittadini di un solo Partito, la quale ha il compito dichiarato di sostenere un determinato Governo con la forza, anche se ad esso il consenso mancasse».

Matteotti concluse l’intervento asserendo: «Voi dichiarate ogni giorno di volere ristabilire l’autorità dello Stato e della legge. Fatelo, se siete ancora in tempo; altrimenti voi sì, veramente, rovinate quella che è l’intima essenza, la ragione morale della Nazione. Non continuate più oltre a tenere la Nazione divisa in padroni e sudditi, poiché questo sistema certamente provoca la licenza e la rivolta. Se invece la libertà è data, ci possono essere errori, eccessi momentanei, ma il popolo italiano, come ogni altro, ha dimostrato di saperseli correggere da sé medesimo. Noi deploriamo invece che si voglia dimostrare che solo il nostro popolo nel mondo non sa reggersi da sé e deve essere governato con la forza. Ma il nostro popolo stava risollevandosi ed educandosi, anche con l’opera nostra. Voi volete ricacciarci indietro. Noi difendiamo la libera sovranità del popolo italiano al quale mandiamo il più alto saluto e crediamo di rivendicarne la dignità, domandando il rinvio delle elezioni inficiate dalla violenza alla Giunta delle elezioni».

Terminato il discorso disse rivolgendosi al collega seduto accanto a lui, indirettamente ai suoi compagni di partito: «Io, il mio discorso l'ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me.» Il 10 giugno 1924, poco dopo le ore 16, Giacomo Matteotti uscì di casa a piedi e fu aggredito e caricato a forza su un’automobile da cinque individui guidati da Amerigo Dumini. Matteotti cercò di reagire, ma fu sopraffatto e accoltellato. Il corpo fu rinvenuto solo il 16 agosto. La proposta di Matteotti di far invalidare l'elezione, almeno di un gruppo di deputati - secondo le sue accuse, illegittimamente eletti a causa delle violenze e dei brogli - venne respinta dalla Camera con 285 voti contrari, 57 favorevoli e 42 astenuti. Egli non mirava realmente all'invalidamento del voto, bensì a dare il via dai banchi della Camera a un'opposizione più aggressiva nei confronti del fascismo - identificato nel male assoluto da combattere - accusando sia il governo fascista che i liberali. Una volontà di opposizione intransigente che aveva già espresso a Turati.

Egli scriveva al compagno: «Innanzitutto è necessario prendere, rispetto alla Dittatura fascista, un atteggiamento diverso da quello tenuto fino qui; la nostra resistenza al regime dell'arbitrio dev'essere più attiva, non bisogna cedere su nessun punto, non abbandonare nessuna posizione senza le più decise, le più alte proteste. Tutti i diritti cittadini devono essere rivendicati; lo stesso codice riconosce la legittima difesa. Nessuno può lusingarsi che il fascismo dominante deponga le armi e restituisca spontaneamente all'Italia un regime di legalità e libertà, perciò un Partito di classe e di netta opposizione non può accogliere che quelli i quali siano decisi a una resistenza senza limite, con disciplina ferma, tutta diretta ad un fine, la libertà del popolo italiano[».

In questa sua intransigenza - tuttavia - Matteotti restò solo, non riuscì a trovare un collegamento con l'operato e l'ideologia dei comunisti che vedevano tutti i governi borghesi uguali fra loro e quindi da combattere indifferentemente e con i socialisti “collaborazionisti”. Il discorso del 30 maggio diede a Mussolini e ai fascisti la sensazione precisa di avere di fronte in quella Camera un'opposizione molto più combattiva di quella esistente nella Camera precedente e non disposta a subire passivamente illegalità e soprusi. Da qui la reazione violenta del duce e dei suoi sodali contro l’uomo intelligente e coraggioso che, prima di tutti, aveva colto l’essenza del fascismo, la sua pericolosità e la deriva autoritaria e dittatoriale che ne sarebbe seguita. Un martire che, consapevolmente, è andato incontro alla sua sorte: un gigante rispetto ai nani politici di oggi.