"Trattamento disumano in carcere", la Corte europea risarcisce una 39enne

Strasburgo. Decisione per Loredana Morelli, sordomuta, condannata a 12 anni per omicidio figlio

trattamento disumano in carcere la corte europea risarcisce una 39enne
Benevento.  

Un risarcimento nell'ordine di decine di migliaia di euro, per il trattamento disumano subito durante la detenzione in carcere. Lo ha disposto, dopo la dichiarazione unilaterale con la quale il Governo italiano ha riconosciuto l'esistenza della violazione, la Corte europea dei diritti dell'uomo, alla quale avevano fatto ricorso gli avvocati Matteo De Longis e Michele Maselli.

Sono i difensori di Loredana Morelli, 39 anni, di Campolattaro, sordomuta ed affetta da una forma psicopatologica, che il 15 settembre del 2019 aveva ucciso Diego, il figlioletto di 4 mesi. Un delitto per il quale la Corte di assise di Benevento, il 2 marzo 2022, l'aveva condannata, riconosciuta la seminfermità mentale, a 14 anni. Una pena ridotta a 12 anni in appello, con una sentenza che sarà impugnata in Cassazione per la sussistenza, secondo la difesa, della totale infermità mentale della donna.

Il ricorso a Strasburgo era stato presentato per una serie di motivi: tra gli altri, il mancato trattamento, mentre era in carcere, del problema psichiatrico, l'impossibilità, dovendo indossare la mascherina, di poter leggere il labiale durante la pandemia, e la due volte ritardata scarcerazione dell'imputata, le cui condizioni erano state ritenute incompatibili con la detenzione a Capodimonte.

Da circa due anni ospite di una comunità in provincia di Avellino, Loredana Morelli aveva infatti lasciato il carcere il 16 marzo del 2021, dove era rimasta per tre mesi “sine titulo”. Una vicenda assurda, scandita da errori del Riesame rispetto all'indicazione del centro che avrebbe dovuto inizialmente ospitarla, da ritardi, dall'assenza di altre soluzioni e del Piano di trattamento riabilitativo individuale che l'Asl di Avellino avrebbe dovuto prepare, che era anche approdata alla Commissione giustizia della Camera, e che era stata risolta, infine, grazie anche all'intervento della Procura di Benevento.

Il giorno in cui si era verificato il dramma, Loredana si era allontanata con Diego da Quadrelle, il centro irpino nel quale abitava, a bordo di una Opel Corsa.

Ossessionata dai sospetti, voleva raggiungere la sua famiglia a Campolattaro. Per non farsi fermare dai carabinieri, che la cercavano dopo la denuncia del convivente, aveva imboccato la Benevento -Caianello, giungendo all'altezza di Solopaca, dove la Corsa era finita contro la barriera. Era scesa, aveva preso tra le braccia il figlio, rimasto ferito, come dimostrerebbero le tracce di sangue sul seggiolino e nell'abitacolo, e l'aveva lanciato di sotto, certa che in quel punto scorresse il fiume.

Poi, intenzionata a farla finita, aveva fatto altrettanto, restando impigliata tra i rovi, come il bimbo. Lo aveva raggiunto e colpito alla testa con un pezzo di legno, ammazzandolo. Per un anno era rimasta chiusa in un silenzio che aveva rotto prima di essere spedita a giudizio. Quando, supportata da una esperta del linguaggio dei segni, aveva raccontato la sua sconvolgente versione dei fatti, ammettendo di aver ucciso Diego.