Assolte dal Tribunale (presidente Rotili, a latere Monaco e Nuzzo), perchè il fatto non sussiste, le tre persone tirate in ballo dall'indagine dei carabinieri sulla presunta tangente che sarebbe stata chiesta a Bartolomeo Velardo, un imprenditore di Cusano Mutri, sugli interventi di somma urgenza, già liquidati, per la sistemazione delle sponde del torrente Titerno dopo l'alluvione dell'ottobre 2015.
In particolare, il collegio giudicante ha assolto Giuseppe Maria Maturo (avvocato Marcello Severino), 56 anni, dal maggio del 2014 sindaco di Cusano Mutri, Remo Di Muzio (avvocati Giuseppe Francesco Massarelli e Patrizia Pastore), 47 anni, geometra libero professionista, e Nicola Russo (avvocato Alberto Mignone), 50 anni, di Apollosa, all'epoca capo Ufficio tecnico del Comune di Cusano.
Il pm Stefania Bianco aveva chiesto 8 anni per Maturo e 6 anni per gli altri due, supportato dall'avvocato Giuseppe Maturo, legale della parte civile, che aveva insistito per la dichiarazione di responsabilità degli imputati, dei quali oggi le difese avevano invece sollecitato l'assoluzione.
L'inchiesta, corroborata da intercettazioni telefoniche ed ambientali, e dalle conversazioni registrate dallo stesso imprenditore, era rimbalzata all'attenzione dell'opinione pubblica il 28 giugno del 2018, quando Maturo e Di Muzio erano finiti agli arresti domiciliari, per concussione, sulla scorta di una ordinanza di custodia cautelare adottata dal gip Gelsomina Palmieri.
Nel corso degli interrogatori di garanzia, Maturo e Di Muzio avevano respinto ogni addebito. Maturo, in particolare, aveva escluso qualsiasi forma di pressione o minaccia nei confronti del titolare della ditta, peraltro suo testimone di nozze, affermando di non sapere alcunchè di quei soldi passati dalle mani dell'imprenditore – una scena immortalata in un video - in quelle di Di Muzio. Che, a sua volta, aveva spiegato che i 2mila euro – prima tranche, secondo gli inquirenti, di una presunta mazzetta di 6500 euro- contenuti nella busta erano il corrispettivo di una prestazione professionale fornita alla parte offesa con la collaborazione di un altro geometra, di cui aveva scritto il nome sulla stessa busta.
L'ordinanza era però stata annullata dal Riesame, con una pronuncia confermata nel gennaio del 2019 dalla Cassazione, che aveva dichiarato inammissibile l'appello della Procura.
Nel motivare l'annullamento dell'ordinanza, il Riesame aveva qualificato come induzione indebita, e non concussione, l'ipotesi di reato contestata, evidenziando come l'imprenditore “prospetti, unicamente, il vantaggio discendente dall'ottenere appalti che espressamente chiede al sindaco, per poi scoprirsi “sorpreso” che a fronte di detto vantaggio avrebbe dovuto corrispondere una tangente con le modalità indicate in denuncia”.
Ascoltato in aula, Velardo aveva spiegato i suoi comportamenti – la rinuncia ai ricorsi, l'accettazione nei suoi cantieri di alcuni operai, la restituzione di una parte dei soldi incassati -con il ricorso all'espressione “pace sociale”. Aveva sostenuto, in pratica, di aver dovuto fare così per continuare a mangiare e non restare emarginato. Una versione rintuzzata durante l'esame dai tre imputati, che avevano rivendicato la correttezza e la legittimità del loro operato. Poco dopo le 16 la sentenza: tutti assolti.