C’è grande preoccupazione tra il personale di Polizia Penitenziaria in servizio nell’Istituto penale per Minorenni di Airola per la presenza di un detenuto probabilmente affetto da tubercolosi. Raccoglie gli allarmi il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE.
“L’uomo è un detenuto nel carcere minorile di Airola, marocchino, proveniente dalla Casa circondariale di San Vittore a Milano”, spiega Sabatino De Rosa, vicecoordinatore regionale per il settore minorile del SAPPE. “In sede di visita appena entrato in istituto, effettuata dalla guardia medica perché non era presente il medico, quello della guardia medica constatava che l’uomo all’apparenza sembrava non avere problemi ma, sentendolo tossire, si è insospettito ed ha notato un gonfiore al braccio. Da lì, ha constatato che sulla cartella clinica risultavano essere stati fatti accertamenti, tra i quali una prova di screening utilizzata per individuare la presenza di una infezione causata dal micobatterio della tubercolosi a cui il detenuto era risultato positivo”. “Da qui”, prosegue il sindacalista, “sono stata immediatamente attivate le procedure di isolamento, che hanno riguardato anche il personale di Polizia Penitenziaria di altre sedi e tutti coloro che hanno avuto contatto con l’uomo. Mi riferiscono che c’è grande preoccupazione, non solo del personale di Polizia Penitenziaria ma di tutti i vari operatori, per possibili contagi. Io credo che il luogo migliore dove egli debba stare è in ospedale, per ricevere efficaci cure in non luogo ad hoc”.
“Richiamo il Ministero della Giustizia ed in particolare il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e quello di Giustizia minorile e di Comunità a predisporre adeguati interventi a tutela delle donne e degli uomini del Corpo di Polizia Penitenziaria, in servizio nella prima linea delle Sezioni detentive 24 ore giorni, e di tutti gli operatori che sono stati a contatto con l’uomo ristretto ad Airola”. E’ l’auspicio di Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE. “E’ auspicabile che si adottino le opportune cautele”, prosegue. “La promiscuità nelle celle può favorire la diffusione delle malattie, specie quelle infettive. Se si considera che un terzo della popolazione detenuta è straniera, autorevoli consessi impegnati nella sanità in carcere, come la SIMSPe, hanno constatato che con il collasso di sistemi sanitari esteri e con il movimento delle persone, si riscontrano nelle carceri tassi di tubercolosi latente molto più alti rispetto alla popolazione generale. Se in Italia tra la popolazione generale si stima un tasso di tubercolosi latenti, cioè di portatori non malati, pari al 1-2%, nelle strutture penitenziarie ne abbiamo rilevati il 25-30%, che aumentano ad oltre il 50% se consideriamo solo la popolazione straniera”. Capece ricorda che l'Epatite C è tuttora l'infezione maggiormente presente nella popolazione detenuta in Italia. Per il SAPPE, dunque, “è indispensabile monitorare costantemente la questione e predisporre ogni utile intervento a tutela dei poliziotti e degli altri operatori penitenziari”.