Le sofferenze di Antonio, morto a 26 anni. "Giudice, non archivi l'inchiesta"

La Procura ha proposto l'archiviazione, no dei genitori del giovane deceduto dopo un'operazione

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Attesa la decisione del Gip

Benevento.  

La Procura ha chiesto l'archiviazione, con una conclusione che ha determinato l'opposizione delle parti offese e la conseguente fissazione di una camera di consiglio. Si è tenuta questa mattina dinanzi al gip Gelsomina Palmieri, che gli avvocati Antonio Leone e Francesco Del Grosso hanno sollecitato a non scrivere la parola fine sull'inchiesta per la morte di Antonio Pagnano, 26 anni, di Colle Sannita, avvenuta il 5 febbraio del 2020 dopo più interventi chirurgici.

Dopo aver evidenziato che a distanza di circa tre anni e mezzo l'indagine è ancora contro ignoti, e che tutte le consulenze hanno accertato che il decesso è collegato casualmente ad una delle operazioni, i legali hanno chiesto che il giudice disponga l'imputazione coatta e, in subordine, un approfondimento investigativo.

E' una storia dolorosissima di cui ci siamo più volte occupati: inizia il 29 novembre del 2019, quando Antonio era stato operato presso la Nuova Clinica Santa Rita per la rimozione di un “linfangioma cavernoso retroperitoneale”. Erano sorte delle complicazioni, il 3 dicembre era stato sottoposto ad un ulteriore intervento, poi il giorno seguente era stato trasportato dal 118 al Rummo, dove era rimasto ricoverato fino al 5 febbraio del 2020, quando il suo cuore aveva smesso di battere per sempre nonostante altri interventi praticati per cercare di salvarlo.

La denuncia dei genitori aveva innescato l'avvio di una indagine, il pm Maria Colucci aveva affidato ai dottori Lamberto Pianese ed Osvaldo Micera l'incarico di valutare le cartelle cliniche, poi aveva nominato i dottori Arianna Giovannetti ed Andrea Balla dopo le osservazioni del professore Alessandro Dell'Erba, consulente, al pari del dottore Francesco Venneri, delle parti offese.

Il passo successivo era stata la richiesta di archiviazione avanzata dal Pm perchè “l'ipotesi accusatoria prospettata, di un possibile errore medico quale causa (anche solo concorrente) del decesso non ha trovato nel corso delle indagini sufficienti riscontri, non avendo fornito gli accertamenti tecnici disposti ed eseguiti sulla documentazione elementi in grado di fondare una prognosi di favorevole esercizio dell'azione penale”.

Valutazioni contrastate dalle parti offese perchè gli specialisti del Pm hanno “riconosciuto la non conformità del comportamenti assistenziali dei sanitari della clinica, evidenziando due eventi avversi collegati casualmente con il decesso, entrambi risalenti al primo intervento: la fissurazione all'arteria mesenterica superiore e la perforazione del duodeno terminale, ma “escludono profili di rilievo penalistico”.

Anche i secondi consulenti “evidenziano la sussistenza di un nesso casuale esclusivo tra le procedure chirurgiche e il decesso, ma inspiegabilmente non riconoscono elementi di censura nell'operato dei sanitari”. Che, al contrario, vengono invece rilevati dai consulenti della famiglia del giovane, secondo i quali è evidente il presunto “carattere negligente, imprudente e imperito delle condotte dei sanitari che hanno avuto in cura Antonio alla Santa Rita”.

Nel mirino  “il mancato approfondimento dell'entità delle possibili e prevedibili complicanze legate alla patologia (di estrema rarità) e della “conseguente”, presunta “inidoneità della Santa Rita al trattamento di tale patologia, in quanto priva di un reparto di rianimazione e di specialisti di chirurgia vascolare”. Attenzione puntata, inoltre, sulla presunta “marchiana sottovalutazione dei sintomi delle complicanze operatorie, che avrebbero comunque imposto il trasferimento del paziente, già subito dopo il primo intervento, presso una struttura idonea.. Sintomi “evidenti già dopo il primo intervento”.