Omicidio Improta: dopo Spitaletta, condanna definitiva anche per Rotondi

Cassazione. Il delitto del 26enne di Montesarchio: 18 anni al 33enne di Tocco domiciliato a Tufara

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Montesarchio.  

Respinto dalla Cassazione, che l'ha dichiarato inammissibile, il ricorso- la difesa aveva sollevato una serie di dubbi-, contro la condanna a 18 anni, diventata dunque definitiva, decisa dalla Corte di assise di appello, nel febbraio del 2021, per Pierluigi Rotondi (avvocati Fernando Scaramozza e Cosimo Ciotta), un 33enne originario di Tocco ma domiciliato a Tufara, riconosciuto responsabile, in concorso con Paolo Spitaletta, 53 anni, di Tocco Caudio, dell'omicidio di Valentino Improta, 26 anni, di Montesarchio.

La Corte di appello aveva confermato la pena stabilita con rito abbreviato dal giudice Francesca Telaro, il 29 gennaio del 2020, per il delitto del giovane, al centro delle indagini del pm Assunta Tillo e dei carabinieri, ucciso con due fucilate,  e rinvenuto carbonizzato, il 4 maggio 2018, in una Fiat Punto, intestata alla madre, ferma alla località Cepino di Tocco Caudio, nelle vicinanze di un'area pic-nic sul monte Taburno.

A Spitaletta erano stati inflitti 30 anni, che si erano aggiunti ai 18 subiti per la rapina e l'omicidio preterintenzionale di Giovanni Parente, 83 anni, di Montesarchio, morto all'ospedale Rummo due settimane dopo il raid di cui il 10 aprile del 2018 era rimasto vittima, insieme alla sorella 85enne, nella sua abitazione. Complessivamente, dunque, 48 anni, scesi a 30 anni dopo la rideterminazione della pena ottenuta dal suo difensore, l'avvocato Antonio Leone.

Le due vicende appena ricordate sono legate tra loro perchè la rapina in casa dell'anziano rappresenta il movente dell'omicidio di Improta. Quest'ultimo, secondo la ricostruzione degli inquirenti, avrebbe partecipato all'incursione, per la quale aveva ricevuto un avviso di garanzia. Avrebbe minacciato Spitaletta di chiamarlo in correità se, nel caso in cui fosse stato arrestato, non avesse ricevuto assistenza economica per sé e la sua famiglia, anche per sostenere le spese legali per la propria difesa.

Parole che avrebbero indotto Spitaletta, nel timore che Improta potesse collaborare con la giustizia per alleggerire la sua posizione, ad organizzare, in concorso con Rotondi, l'omicidio del giovane. Facendo credere al 26enne di aver ideato un furto di rame sul Taburno, l'avrebbero attirato in trappola.

Intorno alle 22 del 2 maggio 2018, Improta avrebbe raggiunto i due imputati, che erano a bordo di una Mercedes, al volante della Punto della madre, nei pressi del ristorante il Querceto di Tocco Caudio, dove si erano dati appuntamento. Una volta alla località Le Martine di Tocco Caudio, i tre si sarebbero divisi: Rotondi sarebbe rimasto lì, in macchina, mentre Spitaletta sarebbe salito nella Punto di Improta, contro il quale, una volta alla località Cepino, avrebbe fatto fuoco due volte con un fucile a canne mozze calibro 12.

Due colpi all'altezza della nuca, “esplosi da distanza ravvicinata, da destra verso sinistra”. Poi il fuoco appiccato alla macchina, ed al cadavere di Improta che era all'interno, “con l'utilizzo di un accelerante” che aveva portato la “temperatura a raggiungere il picco di 800 gradi”. A quel punto, Spitaletta avrebbe percorso a piedi, per circa 30 minuti, un sentiero che l'aveva condotto nella zona in cui c'era ad aspettarlo Rotondi, con il quale si era infine dato alla fuga.

Parti civili i genitori e le sorelle con gli avvocati Federico Paolucci, Ettore Marcarelli e Angelo Santoro, e le due compagne di Improta con l'avvocato Vincenzo Sguera.