Ciccopiedi e Ocone, annullato sequestro dei beni, anche dell'Hotel Villa Traiano

Sì del Riesame ai ricorsi di 5 dei 26 indagati nell'inchiesta sulle imprese trasferite in Bulgaria

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Benevento.  

Annullato dal Riesame il sequestro di denaro e beni, tra i quali l'Hotel Villa Traiano, operato dalla guardia di finanza, lo scorso 5 maggio, nei confronti di cinque delle ventisei persone tirate in ballo dall'inchiesta del sostituto procuratore Assunta Tillo e della guardia di finanza sul trasferimento in Bulgaria di una serie di imprese, con l'obiettivo di sottrarle – sostiene l'accusa – al pagamento delle imposte e sottrarne i patrimoni al sequestro e a procedure fallimentari e /o esecutive.

Il Tribunale (presidente Rotili, a latere Monaco e Nuzzo) ha infatti accolto i ricorsi curati dagli avvocati Andrea e Matteo De Longis per Giuseppe Ciccopiedi, 69 anni, Alessandro Ciccopiedi, 33 anni, Leonardo Ciccopiedi, 37 anni, e dall'avvocato Sergio Rando per Amleto Ocone, 83 anni, e Linda Ocone, 52 anni, tutti di Benevento.

Il 14 giugno è invece in programma, ma dinanzi al Riesame di Napoli, la discussione dei ricorsi contro l'interdizione per 12 mesi dall'esercizio dell'attività professionale e d'impresa disposta dal gip Gelsomina Palmieri nei confronti dei tre Ciccopiedi, Cosimo Aquino, 70 anni, anch'egli assistito dagli avvocati De Longis, e di altri quattro indagati.

Come più volte ricordato, nel mirino degli inquirenti è finito il ruolo di una struttura di brokeraggio – Giuseppe e Leonardo Ciccopiedi sono ritenuti promotori ed organizzatori – che sarebbe stata “dissimulata sotto lo schermo di uno studio legale che presta anche servizi di delocalizzazione di imprese all'estero. Secondo il Pm, con un presunto obiettivo: commettere reati di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte.

Attenzione puntata sulla gestione dell'attività di consulenza dei Ciccopiedi per il trasferimento e il mantenimento di imprese in Bulgaria, soprattutto nelle città di Sofia e Plovdiv. Una volta all'estero, le società sarebbero apparse ancora operative e solvibili, attraverso l'accensione di conti correnti che in realtà non sarebbero stati movimentati. In questo modo sarebbe stato consentito agli imprenditori 'clienti' di continuare di fatto ad operare in Italia con neo costituite imprese con lo stesso oggetto del clone estero.

La Procura è convinta di aver ricostruito lo schema seguito nella maggior parte dei casi: prima l'ingresso nel management delle società, acquistando quote o assumendo cariche sociali, poi permanendo anche nella compagine sociale di quelle corrispondenti estere.