Società italiane finite in Bulgaria. "Fondamentale cooperazione tra istituzioni"

Il procuratore Policastro: "Indagini caratterizzate da collaborazione con autorità bulgare"

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Benevento.  

“Una squadra investigativa comune (Sic) tra Italia e Bulgaria che ha consentito di procedere con un unico organo investigativo sul territorio nazionale e in Bulgaria. Questo anche grazie alla collaborazione della procura generale della Corte Cassazione in Bulgaria con la quale abbiamo avuto continui contatti non solo tra investigatori. Il procuratore generale è stato infatti qui a Benevento per un incontro organizzativo anche in relazione ai reati commessi in Bulgaria. Per questo motivo procediamo anche per i reati commessi in Bulgaria”. E' stato il procuratore capo di Benevento, Aldo Policastro a ripercorrere le fasi di collaborazione tra la polizia economica e finanziaria di Benevento e Napoli con gli investigatori e l'autorità giudiziaria della Bulgaria. Un'inchiesta - diretta dal sostituto procuratore Assunta Tillo - transazionale basata sulla cooperazione tra investigatori della Guardia di Finanza di Napoli e Benevento e tra la Procura sannita e quella bulgara, sfociata nell'operazione che all'alba di oggi ha portato ad una serie di sequestri di beni mobili e immobili riconducibili ai 26 indagati chiamati in causa a vario titolo (Leggi altro articolo).

Al centro del lavoro investigativo la fusione transfrontaliera per incorporazione tra società di capitali. In pratica operazioni per sottrarre le imprese italiane al fisco e per evitare che i patrimoni delle imprese, già indebitate fossero oggetto di operazioni fallimentari o sequestro.

Alla conferenza stampa che si è svolta in Procura a Benevento presenti il generale della Guardia di Finanza di Napoli, Domenico Napolitano comandante del Nucleo Pef (Polizia economico finanziaria) “già designato – ha spiegato il procuratore Policastro – alla guida della Guardia di Finanza di Palermo”, il comandante provinciale della Guardia di Finanza di Benevento, il colonnello Eugenio Bua e il comandante del Nucleo Pef di Benevento, il colonnello Giovanni Ferraiolo che ha snocciolato le fasi delle indagini che hanno taccato le province di Benevento, Avellino, Roma, Milano, Napoli, Cosenza e Varese, Sofia e Plovdiv, in Bulgaria. Un lavoro non certo semplice come ha rimarcato il colonnello Bua: “Attività qualificante e complessa sopratutto dalla transnazinalità del fatto. Quando si parla di fiscalità internazionale andiamo in uno degli obiettivi strategici del Corpo”.

“Le indagini sono state avviate nel febbraio del 2019 – ha spiegato il colonnello Ferrajuolo che ha guidato gli investigatori - durante un'attività svolta su una importante struttura alberghiera del capoluogo sannita, sono emerse anomalie fiscali in relazione alle posizioni delle persone fisiche e giuridiche riconducibili alla citata struttura, gestita da un gruppo familiare costituito da un noto professionista beneventano (Ciccopiedi ndr) e dai suoi due figli”.

Di qui l'avvio dell'attività investigativa supportata da “intercettazioni telefoniche ed ambientali ed analisi documentali per ricostruire gli interessi economici e patrimoniali dei tre principali indagati”. Un lavoro costante scandito anche “nel mese di settembre del 2019 - sulla scorta dei primi esiti delle indagini tecniche - diverse perquisizioni svolte presso domicili e studi professionali dei soggetti coinvolti”.

Nalisi e studio dei documenti acquisiti che hanno portato “ad analizzare un’operazione straordinaria di fusione transfrontaliera per incorporazione tra società di capitali con al centro l’azienda costituente il segnalato complesso alberghiero, connessa ad una serie di ulteriori operazioni aziendali (locazione e comodato di ramo di azienda, costituzione di contratto di rete) poste in essere dagli indagati - ante e post 'fusione' - ricorrendo alla formula della 'procura generale', della 'procura speciale' e della 'delega', tutte realizzate nel periodo 2014 - 2018 ed afferenti – ha spiegato ancora il numero uno del Nucleo di polizia economica sannita - una serie di società, collegate all’attività alberghiera, aventi compagni sociali e governance riconducibili ai medesimi soggetti”.

Operazioni che secondo l'accusa erano state fatte unicamente per “tutelare il patrimonio aziendale della società incorporata, trasferendolo ad una società bulgara - comunque riconducibile agli indagati - soggetta ad una normativa più favorevole rispetto a quella nazionale, con il fine di sottrarlo al fisco italiano e di continuarne la gestione sul territorio dello stato mediante due nuove società all’uopo costituite”.

Investigazioni che hanno poi fatto emergere “Una fitta rete di persone fisiche e giuridiche gravitanti nell’orbita professionale e relazionale di un noto professionista beneventano e dei suoi figli, i quali, secondo la prospettazione accusatoria, accolta dal Gip - ha rimarcato Ferrajuolo - hanno promosso, organizzato e gestito una consolidata e fiorente 'attività di consulenza' per il trasferimento e il mantenimento di imprese in territorio bulgaro, la maggior parte delle quali nelle città di Sofia e Plovdiv, al fine di sottrarle al pagamento delle imposte e sottrarne i patrimoni al sequestro e a procedure fallimentari o esecutive”.

Il modus operandi

Al centro delle operazioni ipotizzato “Un sistematico trasferimento in Bulgaria di società italiane, che pur mantenendo la medesima denominazione, sono state trasformate in imprese bulgare di diritto locale. Nello specifico – ha spiegato il colonnello Ferrajolo - , si ritiene che le società di diritto italiano (gravate da onerosi debiti erariali) venivano preliminarmente svuotate, attraverso operazioni di alienazione di immobili e crediti, poste in essere nel periodo immediatamente antecedente il trasferimento in Bulgaria per poi essere cancellate dal Registro delle Imprese nazionale per trasferimento all’estero”.

Operazioni sulle società che di fatto “risultavano tuttavia irreperibili presso le sedi bulgare dichiarate ed apparivano fraudolentemente ancora operative e solvibili attraverso l’accensione di conti in quel paese, in realtà non movimentati se non per il versamento del solo capitale sociale. In tal modo – secondo l'accusa - gli imprenditori italiani continuavano di fatto ad operare in Italia con neocostituite imprese (alle quali erano stati ceduti i compendi delle società trasferite) aventi il medesimo oggetto del clone estero”.

Lavoro investigativo quello della Guardia di Finanza con al centro indagini di natura tecnica integrate da servizi di osservazione e pedinamento, accertamenti bancari, acquisizioni presso l’Agenzia delle Entrate-Riscossione, escussione di numerose persone informate sui fatti, sono state corroborate dagli importanti riscontri pervenuti dall’autorità giudiziaria bulgara. Il contesto investigativo, infatti, per iniziativa della Procura della Repubblica di Benevento e della Guardia di Finanza, delegata alle indagini, “si è esteso oltre i confini nazionali con la costituzione di una Squadra Investigativa Comune (S.I.C.) Italia-Bulgaria, quale strumento di cooperazione internazionale patrocinato da Eurojust - tra la Procura della Repubblica di Benevento e la Procura della Corte Suprema di Cassazione della Bulgaria, finalizzata ad ottenere e condividere informazioni ed elementi di prova nell’ambito delle investigazioni in corso.

Lunghi mesi di lavoro scandite anche da riunioni propedeutiche all’accordo e investigative “sia presso la sede di Eurojust a L’Aia – ha concluso Ferrajolo -, che presso la sede della Procura Specializzata - Reparto Investigativo a Sofia e in Italia presso la Procura di Benevento”.

Poi i numeri dell'attività: esaminate operazioni societarie e i rapporti bancari di 34 società italiane e 29 società bulgare emerse nel corso delle investigazioni; accertata una situazione debitoria complessiva nei confronti dell’Erario di oltre 69 milioni di euro. In mattinata eseguite perquisizioni disposte dalla Procura presso sedi e unità locali di 8 società, nonché i domicili di 21 persone, a vario titolo coinvolti nelle indagini.