E' una storia che ha tenuto banco per settimane, sulla quale è poi inevitabilmente calato un silenzio, foriero delle solite inconcludenti allusioni, ora rotto da una novità sostanziale. Il 5 maggio è infatti in programma, dinanzi al Gip del Tribunale di Napoli, il rito abbreviato a carico di don Nicola De Blasio, 56 anni, di Benevento, ex parroco di San Modesto e direttore della Caritas diocesana, in carcere dal 23 novembre del 2021.
In attesa della decisione sull'istanza di trasferimento ai domiciliari in una struttura di Faicchio avanzata dagli avvocati Massimiliano Cornacchione e Vincenzo Sguera, la scelta del rito alternativo – prevede, in caso di condanna, la riduzione di un terzo della pena- è arrivata dopo la fissazione del giudizio immediato sollecitato dal Pm.
Due le accuse per don Nicola: la prima, datata 3 novembre del 2021, è la detenzione di materiale pedopornografico (950 file immagine e 95 filmati video), mentre l'altra, risalente al 9 febbraio dello stesso anno, prospetta la condivisione, con l'utilizzo della piattaforma telegram, di almeno 6 video con minori.
Era stata quest'ultima contestazione - l'ipotesi di scambio di materiale pedopornografico su una chat- ad innescare, su delega della Procura di Torino, la perquisizione compiuta dalla polizia postale il 3 novembre e conclusa, dopo il rinvenimento di file e video nel suo pc, con l'arresto in flagranza di don Nicola De Blasio. Su disposizione del sostituto procuratore Marilia Capitanio, il sacerdote era stato sottoposto agli arresti in casa, confermati dal gip Gelsomina Palmieri, dopo l'udienza di convalida.
Un appuntamento nel corso del quale l'indagato aveva sostenuto di aver scaricato il materiale tra il 2015 ed il 2016 perchè intendeva condurre una indagine sul fenomeno della pedopornografia nell'ambito ecclesiastico. Un'attività interrotta quando si era reso conto che era illegale, aveva aggiunto, affermando che da allora quelle immagini non erano più state visualizzate o scambiate.
Gli atti erano stati trasmessi per competenza a Napoli, da dove, a distanza di venti giorni, era partito l'ordine di arresto in carcere, anche in relazione all'addebito di condivisione, a febbraio, del materiale. Interrogato, don Nicola aveva ribadito la versione offerta inizialmente, escludendo di aver scambiato foto e riprese. L'ordinanza era stata confermata dal Riesame, la Procura partenopea aveva affidato ad un proprio consulente l'incarico di procedere ad una analisi dei supporti informatici sequestrati al prete.
Accanto a questo, esiste poi un ulteriore troncone al centro degli approfondimenti della Procura e della guardia di finanza di Benevento. Riguarda i 170mila euro in contanti che erano stati scovati durante la 'visita' della polizia postale a novembre.
Don Nicola, assistito anche dall'avvocato Alessandro Cefalo, aveva spiegato che circa 80mila euro erano offerte per i lavori di ristrutturazione della chiesa, mentre il resto erano risparmi lasciati dai genitori. I soldi erano stati sequestrati due volte – la seconda per una ipotesi di ricettazione -, ma in entrambi i casi il provvedimento era stato annullato dal Riesame.