Poco meno di un mese fa il sequestro dei telefonini, domani l'udienza dinanzi alla dodicesima sezione del Riesame, alla quale gli avvocati Ettore Marcarelli e Gerardo Giorgione chiederanno l'annullamento del provvedimento e la restituzione dei cellulari, evidentemente acquisiti sul presupposto che contengano elementi utili a suffragare l'accusa, e già al centro di una consulenza, ai due docenti tirati in ballo dall'inchiesta del sostituto procuratore presso il Tribunale di Napoli John Woodcock e dei carabinieri del Nas sulle false vaccinazioni nell'hub istituito nella "Fagianeria" del Museo di Capodimonte.
I due prof – uno lavora in un centro della Valle Telesina (coinvolta anche la sorella, dipendente privata), l'altra a pochi chilometri da Benevento- sono indagati al pari di altre trentasei persone: un elenco nel quale figurano dipendenti Asl, del Ministero dell'Istruzione e dell'Università, dei Ministeri della Giustizia e dell'Interno. Quattro di loro risiedono nelle province di Avelino e Salerno, gli altri in quella di Napoli e non solo. Tutti erano stati destinatari di una perquisizione alla quale era seguita, a distanza di alcuni giorni, la revoca di 32 green pass.
L'inchiesta, supportata da intercettazioni telefoniche ed ambientali, dalle immagini registrate nel centro vaccinale napoletano, e successivamente corroborata dalle confessioni rese durante gli interrogatori di garanzia da un infermiere addetto alle vaccinazioni e da un operatore socio sanitario, entrambi arrestati, ipotizza che i pazienti, dopo essere stati procacciati e veicolati per il tramite di una guardia giurata, ancora non identificata compiutamente, all'interno di un determinato box, avrebbero sborsato 150 euro a testa per evitare la sommistrazione del vaccino, che sarebbe stato disperso in un batuffolo di ovatta.
Per quanto riguarda i due sanniti, nel mirino degli inquirenti è finito soprattutto il professore, che, dopo la finta inoculazione della dose, si sarebbe interessato per la sorella ed avrebbe indirizzato la sua collega.