L'invidia è un sentimento che proviamo un po' tutti, chi più chi meno. Dovrebbe essere una spinta a far sempre del nostro meglio, a raggiungere risultati che ci sembrano inarrivabili, non il brodo di coltura nel quale far sviluppare il risentimento ed il rancore nei confronti dei 'bersagli' delle nostre attenzioni.
Un modo di essere che su larga scala è stato definito invidia sociale, alimentato negli ultimi anni da campagne d'odio che hanno fatto presa soprattutto su quale parte dell'opinione pubblica meno avvertita, più sensibile ai post sui social ed alle parole d'ordine contenute nei titoli strillati di una larga fetta dell'informazione che ne continua a vellicare gli istinti peggiori con evidenti interessi di faziosità. Un'informazione che ha fatto e fa da traino ed amplificatore a fenomeni di degenerazione esaltati da facebook, twitter: luoghi nei quali chiunque può dire la sua nella convinzione di restare impunito, spacciare e condividere troll nel segno della bufala.
In questi giorni mi ha colpito il trambusto, virtuale, scatenato da alcune foto in cui un giovane candidato ad un municipio di Roma ha esibito al polso un orologio di valore. Non vi annoierò con la solita solfa retorica – la mozione degli affetti è l'arma della disperazione - del ragazzo che ha perso il padre ed è orgoglioso di mostrare a tutti il suo regalo.
Ciò che mi ha meravigliato, forse neanche tanto, è il bombardamento partito contro il poverino, additato come una sorta di 'simbolo del male', un esempio diseducativo. E' finito nel mirino dei rimbrotti e dei commenti intrisi di moralismo, con venature sociologiche e addirittura psicologiche, vergati in tantissimi casi da gente che bazzica anche la politica, mediamente ricca (e non è una colpa), con più proprietà e conti correnti gonfi di denaro. Che ha quasi sempre figli, mogli, mariti e, se ce n'è bisogno, parenti, piazzati nelle Università, nelle banche d'affari, nell'amministrazione pubblica, nelle società che contano, nei giornali; insomma, nei punti che contano di un Paese, dai quali perpetuare l'esercizio del potere ricevuto per via dinastica.
Si tratta, ovviamente, di persone che hanno meritato ciò che hanno, avendolo conquistato con il sudore della fronte, con un impegno senza soste. Guai a sostenere il contrario. Il problema è che nutrono una passione sfrenata per il pauperismo... degli altri: un vessillo che non perdono l'occasione di sventolare per dimostrare di essere 'dalla parte giusta'. Quella che non sa la fatica di un lavoro incerto e precario, che non conosce il coraggio necessario a tirare avanti, che non ha mai avuto difficoltà a trovare una buona e remunerata occupazione. Sempre, sia chiaro, facendo finta di interessarsi al destino degli altri, pronta a rimbrottare quanti ai loro occhi non si comportano come dovrebbero.
Non ti conosco, benedetto giovanotto con l'orologione. Potresti essere mio figlio, mi permetto di suggerirti che devi imparare ad essere ipocrita come i tuoi detrattori, che disprezzano, vedendoli come potenziali attentatori agli equilibri che ne sorreggono l'esistenza, quanti si sforzano di migliorare la propria condizione. Sono talmente invidiosi da non riuscire neanche a godere quanto la fortuna ha concesso loro.