Tutti ad indignarsi per le scene filmate dalle telecamere di sorveglianza all'interno del carcere di Santa Maria Capua Vetere, tutti a meravigliarsi come se fosse la prima volta e non fosse mai capitato altrove. Non è una novistà, è già accaduto in più parti, anche nella nostra provincia – almeno secondo quanto racconta un'inchiesta che qualche mese fa si è chiusa-, anche se in proporzioni in alcun modo paragonabili.
La verità è che del carcere non ci interessa alcunchè. E' la discarica sociale nella quale scarichiamo quotidianamente le nostre paure, ritenendolo il luogo nel quale isolare il male. Confidando che sia un posto lontano dalle nostre vite, ignorando, o facendo finta di non sapere, che tra quelle mura, oltre a coloro che devono pagare il conto, diventato definitivo, per cò di cui sono stati dichiarati responsabili, ce ne sono tantissimi – la stragrande maggioranza- che si trovano in custodia cautelare preventiva, in attesa di un processo che ne certifichi la colpevolezza o l'innocenza.
Basterebbe questo semplice dato, che l'opinione pubblica non conosce perchè diseducata da una informazione che da trent'anni spaccia per una condanna un avviso di garanzia o una misura cautelare, per capire quanta ipocrisia si nasconda dietro le immancabili reazioni. Innanzitutto quelle di una politica che da decenni fa spallucce ed orecchie da mercante alle sollecitazioni che arrivano da quel mondo, temendo di essere additata come difensore dei detenuti, delle persone private della libertà.
Sì, proprio quanti che, avendo visto i loro polsi stretti dalle manette, qualcosa dovranno pur averla combinata, anche se nessuno si è ancora pronunciato sulle accuse prospettate nei loro confronti. Va così, purtroppo, e non è colpa di un'opinione pubblica allenata alla gogna... degli altri.
Ecco perchè diventa quasi superfluo ricordare che che c'è stato chi ha scritto che la qualità di uno Stato di diritto si desume dallo stato delle carceri. Già, lo Stato di diritto che prevede garanzie per chiunque resti impigliato nelle maglie di una inchiesta, che dovrebbe muoversi secondo i principi della Costituzione, assicurando condizioni dignitose a chi è ospite, temporaneamente o meno, di un carcere, e a coloro che per lavoro sono chiamati a vigilare.
Fanno un mestiere terribile e complicato, ma nessuno può immaginare che per la durezza del loro compito siano autorizzati, e con loro tutti quelli che indossano una divisa, ad utilizzare i metodi osservati nella struttura casertana. Chi è sotto tutela dello Stato, fosse anche il peggiore delinquente, non può essere umiliato e picchiato. Sono sufficienti il Codice e la sua applicazione, le bende sugli occhi, le mazzate, i pestaggi e le manganellate sono altro da uno Stato di diritto, da un Paese civile.
Da questo punto di vista, l'Italia non è purtroppo sola, anche se ha una sua specificità: è dominata dall'idea della giustizia come vendetta: fa male a tutti, a cominciare dalle parti offese, dalle vittime, e spiega probabilmente le scene nelle carceri.