E' riservato agli assembramenti dei tifosi registrati a Milano dopo lo scudetto all'Inter, la riflessione dell'avvocato Gino De Pietro.
"Non c’è che dire la Lombardia è la prima regione d’Italia, la capitale morale, come si diceva un tempo.
Circa un anno fa, a pandemia iniziata, la doppia vittoria dell’Atalanta sul Valencia, valevole per il passaggio ai quarti di finale della Champions League determinò assembramenti dentro e fuori lo stadio. Dopo Bergamo divenne la capitale dei morti per Covid.
Sarà un caso, sarà sfortuna, sarà colpa del destino cinico e baro o del governo ladro, ma dei morti di Bergamo si è parlato molto, degli assembramenti dei tifosi che li precedettero, ben poco.
In un paese dove si è chiuso tutto, si è criminalizzato anche il pranzo della domenica di Pasqua coi parenti stretti, i quarti di Champions League sono sacri.
Circa quarantotto ore fa, a pandemia in corso, lo scudetto all’Inter con quattro giornate di anticipo ha scatenato – secondo l’informativa della Questura di Milano – trentamila tifosi in piazza Duomo per festeggiare a lungo l’agognato scudetto, con tanto di cori e balli. Distanziamento: tra i 10 e i 20 millimetri; sicurezza: garantita dalla maglia nerazzurra; coprifuoco: marameo. E come a Carnevale: vi saluto, mascherine!
Ci sarebbe da chiedersi cosa facevano nell’ordine: il presidente della regione Fontana, il sindaco di Milano Sala, il prefetto di Milano, il questore di Milano, il comandante dei Carabinieri e ogni altra autorità preposta alla “lotta contro il Covid”.
Forse non immaginavano ciò che sarebbe accaduto? Era impossibile evitarlo? Era impensabile chiudere gli accessi, fare dei posti di blocco, sorvegliare insomma il territorio, identificare qualcuno, fermare qualche altro?
In questi mesi abbiamo visto scene incredibili: forze dell’ordine lanciate all’inseguimento di un malcapitato che, da solo, si faceva il bagno a mare, rischiando di infettare un cefalo; fermo di un ciclista in sentiero di campagna, colpevole di diffondere il covid tra i passeri sugli alberi…ma quando si tratta del calcio, nulla quaestio. L’immunità di gregge, inteso come quello proprio delle pecore, è garantita.
Chissà quanti tifosi interisti non milanesi e non lombardi c’erano tra quei trentamila che non hanno esitato a violare le norme che tutti rispettiamo e che rischiano di portare il Covid in giro per l’Italia.
Alcuni virologi volevano tracciare – usando anche delle “app” – l’intero popolo italiano, io mi sarei contentato di tracciare almeno trentamila e quelli delle partite dell’Atalanta dello scorso anno.
Ma dev’essere una curiosità isolata e molesta, viste le reazioni del tipo: “Monellacci… non si fa così… la prossima volta… vi togliamo la marmellata a colazione”.
Con intere categorie di imprenditori, professionisti e lavoratori autonomi al collasso, le scuole chiuse per mesi, le attività sportive praticate – che sono educative e fanno bene alla salute, non come il tifo, che è una manifestazione di tipo onanistico – paralizzate, c’è ancora chi ha voglia di assembrarsi rischiando di ammalarsi e diffondere il virus per il calcio, senza che nessuno di fatto reagisca a tali iniziative illecite, primi fra tutti le autorità.
Io mi permetto di sollecitare le dimissioni del presidente della regione Lombardia e del sindaco di Milano e la rimozione del prefetto, del questore e del comandante dei carabinieri di Milano.
Poiché sono l’unico, almeno secondo le mie conoscenze, che l’ha fatto, mi chiedo se siamo ancora un popolo civile o un’accolita di lazzaroni!".