In principio fu Tangentopoli, l'inchiesta della Procura di Milano che trent'anni fa terremotò il nostro Paese, facendo emergere ampie fasce di corruttela, malaffare e finanziamento illecito. All'opinione pubblica, bombardata quotidianamente da arresti ed avvisi di garanzia, fu fatto credere che l'attività degli inquirenti, indipendentemente dall'esito dei processi, si sarebbe trasformata in una gigantesca operazione di pulizia che avrebbe introdotto l'Italia in un'era diversa da quelle vissute fino a quel momento.
Non è andata così, non poteva andare così. Perchè una indagine ha l'obiettivo di perseguire un reato la cui esistenza dovrà poi essere provata in un dibattimento, attraverso il confronto tra le parti, e stabilita da un Tribunale che dovrà comminare all'autore una pena giusta, non esemplare, e non ha il compito, l'indagine, né di contribuire a redimere una comunità, né di modellare i meccanismi amministrativi.
Due missioni salvifiche che investono da una parte i comportamenti individuali, l'educazione ed il rispetto delle regole, dall'altra la politica, la sua capacità, esercitando il potere legislativo, di snellire le procedure, evitando quella miriade di passaggi che agevolano le condotte illegali.
Piccoli e banali concetti che ci sentiamo ripetere da decenni, che fanno fatica ad affermarsi perchè nel frattempo è cresciuta a dismisura l'informazione. E quella giudiziaria ha avuto un ruolo assolutamente preponderante nel determinare, alterando e deformando la comprensione dei fenomeni, l'immobilismo culturale nel quale è precipitata, dai primi anni '90, una larghissima fetta della società. Il motivo? Ha assecondato una politica che non ha più smesso di strumentalizzarla.
Gli organi di stampa avrebbero dovuto impegnarsi al massimo per impedire che venisse messo il cappello di questo o quel partito sugli articoli pubblicati. Non lo hanno invece fatto nella stragrande maggioranza dei casi, finendo col diventare la clava brandita contro l'avversario.
Da allora ad oggi, inevitabilmente, un avviso di garanzia, una perquisizione o una misura cautelare si sono trasformati in un giudizio anticipato di colpevolezza se riguardano un esponente della coalizione, della formazione o di una fazione della stessa nei confronti dei quali una testata non nutre sentimenti di simpatia, chiamiamola così.
I ruoli si ribaltano, ovviamente, se il destinatario appartiene invece allo schieramento nel quale si è incasellati. A quel punto, i lamenti verso il cielo si alzano altissimi, come il richiamo al garantismo. Che assume le sembianze di un concetto adattabile ai singoli momenti e non un principio dal quale non bisogna mai derogare.
A rispettarlo davvero sono in pochissimi, il resto della truppa – da sinistra a destra e viceversa- lo modella come se fosse plastilina. Ferocissimi con gli altri, innocentisti e giustificazionisti con coloro ai quali si richiamano.
E tutto ciò succede non solo nel confronto pubblico tra questo e quello schieramento, ma anche tra giornali e giornalisti che hanno assunto la pessima abitudine, e non l'hanno mai persa, di scrivere e titolare a seconda delle esigenze da soddisfare.
I risultati, purtroppo, sono sotto gli occhi di tutti: segnalano un imbarbarimento dei rapporti ormai cronico, rispetto al quale la soluzione non è il bavaglio a chi per mestiere deve trovare e pubblicare notizie, senza però piegarle all'interesse di una parte.
Servirebbe una fase di disintossicazione dai veleni sversati nelle coscienze, anche per spazzare via la straordinaria ipocrisia che negli ultimi giorni ha dominato le cronache, con le polemiche divampate dopo il video di Grillo.
C'era da aspettarselo, o davvero qualcuno pensava, e magari sperava, che potesse essere di altro segno il trattamento da riservare ad un comico che ha fondato un movimento che per quindici anni ha additato al ludibrio generale chiunque incappasse nelle maglie di una inchiesta, che ha evocato la gogna in piazza come cifra di un pensiero altrimenti inesistente, riuscendo ad incassare, solo tre anni fa, un consenso larghissimo tra gli elettori?
Ecco, il problema non è il grillismo ormai in decadenza, ma ciò che ha purtroppo seminato, con un'abbondanza senza precedenti: un populismo giustizialista che, dopo aver mietuto tantissime vittime e creato carriere dal nulla, ora si è ritorto contro i suoi fautori. Tra gli applausi dei nemici e il perdono concesso, a prescindere, dagli amici: che pena, ragazzi.