Il sostituto procuratore Patrizia Filomena Rosa ha 'avvisato' sia lui, che è in carcere dal 21 maggio, sia la moglie – sono entrambi difesi dall'avvocato Antonio Leone-, in modo da consentire loro l'eventuale nomina di un consulente che prenda parte agli accertamenti tecnici irripetibili.
Sono in programma il 18 agosto a Roma, presso il laboratorio dei carabinieri del Ris, e riguarderanno la pistola 357 a tamburo che Antonio Libardi, 59 anni, di Sant'Agata de' Goti, titolare di un impianto di autodemolizione, avrebbe usato contro il figlio Giuseppe, 26 anni, centrato ad una spalla, per fortuna senza gravi conseguenze, da un colpo calibro 38.
Un episodio per il quale Antonio Libardi era stato arrestato dai carabinieri della Compagnia di Montesarchio per tentato omicidio: un'accusa comntenuta nell'ordinanza di custodia cautelare firmata a suo carico dal gip Maria Di Carlo e successivamente confermata dal Riesame.
Come si ricorderà, l'arma non era stata rinvenuta nell'immediatezza ma a distanza di venti giorni, quando i militari l'avevano scovata, munita di due cartucce, nell'intercapedine del portellone posteriore di una Fiat Punto, uno dei pezzi di ricambio presenti nell'attività commerciale. Un'arma con matricola punzonata che il 59enne non avrebbe potuto detenere, con la quale avrebbe fatto fuoco la mattina del 21 maggio.
Libardi era rimasto in silenzio dinanzi al giudice durante l'interrogatorio di garanzia, lasciando agli atti solo le dichiarazioni rilasciate quando era stato fermato e sottoposto allo stub dai carabinieri, ai quali aveva raccontato di aver sparato perchè temeva che i ladri stessero rubando nel suo capannone, dove c'era invece il figlio.
Una ricostruzione incrociata con quella resa dalla vittima, che aveva dato l'allarme al 112, e di altri familiari, vagliata anche attraverso le immagini di una telecamera che lo aveva ripreso sotto un porticato, mentre camminava.