Ucciso, gettato nel fiume: sopralluogo Pm e polizia a Faicchio

Le indagini sull'omicidio di Biagio Di Meo compiuto nel 2008

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Faicchio.  

 

Impossibile non notarne la presenza. Sono arrivati tutti insieme: la Squadra mobile con il dirigente Ugo Armano e il vicequestore Flavio Tranquillo, attuale capo delle Volanti e in precedenza del Commissariato di Telese Terme, il sostituto procuratore Maria Dolores De Gaudio e l'avvocato Danilo Riccio.

Obiettivo: un ulteriore sopralluogo a Faicchio, disposto nell'indagine sull'omicidio di Biagio Di Meo, 38 anni, l'artigiano ucciso con un colpo di pistola e poi gettato nel Volturno, dalle cui acque era stato recuperato il 13 maggio del 2008.

Nel mirino degli investigatori sono finiti, in particolare, l'abitazione di via Cortesano dalla quale Di Meo era scomparso il 7 aprile e la zona del rinvenimento del suo corpo senza vita. Una 'visita' compiuta in un'inchiesta, a carico di ignoti, di cui nel novembre 2019 era stato deciso il prosieguo per altri sei mesi.

L'aveva stabilito il gip Gelsomina Palmieri, accogliendo l'opposizione della sorella della vittima, rappresentata dall'avvocato Riccio, alla richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura. Alla quale la dottoressa Palmieri aveva indicato una serie di circostanze da chiarire; in particolare, sull'arma e su alcune deposizioni raccolte all'epoca. Tappe di un'attività che punta a risolvere un mistero che dura da 12 anni, del quale ci siamo ripetutamente occupati.

La mattina del 7 aprile del 2008 - un lunedì - Biagio Di Meo era uscito di casa e con il suo Nissan aveva raggiunto una seconda abitazione in via Cortesano. Un cliente gli aveva commissionato un lavoro, doveva piallare alcune tavole di legno. Aveva però dimenticato un attrezzo assolutamente indispensabile, per questo aveva inviato un sms alla sua convivente, all’epoca in stato di gravidanza, per chiederle la cortesia di portarglielo. L’orologio segnava all’incirca un quarto d’ora dopo le 8.

La donna era arrivata un’ora più tardi ma lui non c'era. Aveva pensato che si fosse spostato da qualche altra parte, che avesse avuto un impegno improvviso. Il fuoristrada era fermo nei pressi dello stabile, con le chiavi inserite nel cruscotto. La speranza di vederlo rientrare si era infranta in serata. Biagio non era rincasato, non era da lui allontanarsi senza avvertire chi gli stava vicino. Ecco perchè la sorella e la compagna, comprensibilmente preoccupate,si erano rivolte alla polizia. Immediato l'avvio delle ricerche, che erano state condotte in un'area molto vasta, senza risultato.

Cellulare muto, nessuna traccia. Della sua sparizione si era occupata anche la trasmissione Rai 'Chi l'ha visto?', con un servizio andato in onda il 5 maggio. Numerose le segnalazioni giunte in quelle settimane, in tanti avevano telefonato perchè convinti di aver individuato l’uomo che nessuno aveva più visto. Indicazioni che non avevano però dato i riscontri necessari. Il mistero si era fatto fittissimo, era stato alimentato per trentotto giorni. Fino alla terribile scoperta del corpo senza vita. Ad una quindicina di chilometri da Faicchio.

A dare l'allarme era stato un agente della polizia stradale, in servizio a Caianello. Stava pescando sulle sponde del Volturno, in un tratto di trecento metri, abbastanza profondo, che bagna la località Selvapiana di Alvignano, in provincia di Caserta, quando la sua attenzione era stata richiamata dalla presenza nell'acqua di un cadavere rimasto impigliato in alcuni arbusti.

Sulle prime si era pensato ad un imprenditore di Alife, poi gli indumenti avevano restituito una tragica realtà. Quell'uomo era Biagio Di Meo. Indossava il pantalone di velluto, il maglione a righe di colore rosso scuro e gli stivaletti calzati il giorno in cui era sparito nel nulla. E, poi, l’anello, la collanina ed alcuni braccialetti che portava sempre.

Dall’autopsia che il sostituto procuratore Marcella Pizzillo aveva affidato al professore Fernando Panarese era saltato fuori che il 38enne era stato ucciso con un colpo di pistola esploso dall'alto verso il basso, calibro 9. Un solo colpo alla fossa giugulare, vicino alla clavicola, che gli aveva reciso i vasi polmonari. Il corpo era stato poi zavorrato da una pietra, legata ad una corda stretta all'altezza dei fianchi, e lanciato nell’acqua. Da almeno due persone.

Tanti i dubbi, ad iniziare dal luogo del delitto. Nessun elemento utile nel fuoristrada, nessun segno di colluttazione all'interno ed all'esterno dell'abitazione di via Cortesano. Possibile, dunque, che la vittima conoscesse i suoi assassini. Attenzione puntata su una Punto che sarebbe stata vista transitare nella zona, nessun risultato, però, dal lavoro degli investigatori. Tante le piste battute, ma il buio resta ancora fitto.