Strangolò la mamma, dopo sette anni è un uomo libero

Nel 2010 il delitto, a Baselice, di una 74enne. Gabriele Barbato ha scontato la condanna

Baselice.  

Ha lasciato il carcere nel quale è rimasto rinchiuso per aver strangolato, sette anni fa, la madre. Ha saldato il suo debito con la giustizia, ed ora è un uomo libero, Gabriele Barbato, 46 anni, di Baselice, che il 20 giugno 2010 aveva ucciso Maria Leonarda Marucci, 74 anni, vedova.

Il dramma si era consumato in un'abitazione rurale alla contrada Piano Covelli che Barbato, dopo aver pranzato con i suoceri, aveva raggiunto intorno alle 17 a bordo della sua Ford Focus. Tra madre e figlio i rapporti erano tesi da tempo per questioni legate alla casa (e al terreno) nella quale la vittima abitava da sola, nel periodo estivo, e al suo rifiuto di lasciarla.

Secondo la ricostruzione operata all'epoca, al termine di un'animata discussione, l'allora 39enne aveva preso un filo di naylon, di quelli utilizzati in campagna per legare le balle di paglia, e lo aveva stretto da dietro al collo dell'anziana, ammazzandola sulle scale esterne della casa che la poverina stava salendo. Poi, resosi conto di ciò che aveva combinato, aveva telefonato prima alla moglie, quindi ai carabinieri, facendo scattare l'allarme. Sul posto erano intervenuti il sostituto procuratore Maria Aversano ed il medico legale, la dottoressa Monica Fonzo, che successivamente aveva eseguito l'autopsia.

Giudicato da una perizia psichiatrica parzialmente incapace di intendere e di volere al momento dei fatti, all'uomo, difeso dall'avvocato Federico Paolucci, il gup Maria Di Carlo aveva inflitto con rito abbreviato, nel luglio 2011, 10 anni. Scesi a 9 anni e 4 mesi nel primo giudizio di appello che si era concluso nel giugno 2012. Una sentenza impugnata dalla difesa, che aveva contestato l'esistenza dell'aggravante dei futili motivi ed il mancato riconoscimento della provocazione per accumulo. Argomentazioni accolte dalla Cassazione, che aveva disposto un ulteriore processo di appello, terminato nel novembre 2015 con la riduzione della condanna, infine fissata ad 8 anni ed 8 mesi.

La Suprema Corte gli aveva infatti riconosciuto l'attenuante della provocazione per accumulo, stabilendo, in soldoni, che la lite per il possesso dell'abitazione era stato solo il pretesto scatenante di un gesto violento, d'impeto, che affondava le sue origini nel rapporto conflittuale anaffettivo con la mamma, nei comportamenti ingiusti e denigratori che avrebbe avuto nei suoi confronti.

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