Omicidio della pensionata, pene ridotte in appello

Maria Coppola, di S. Giorgio del Sannio, era morta dieci giorni dopo un'aggressione in casa

San Giorgio del Sannio.  

Ridotte in appello, riconosciuto il concorso anomalo che era stato invece escluso in primo grado, le condanne stabilite dal gup Loredana Camerlengo, con rito abbreviato, il 4 giugno del 2015, per le quattro persone ritenute responsabili della rapina e dell'omicidio volontario di Maria Coppola, la 72enne di San Giorgio del Sannio che era morta all’ospedale Rummo il 18 febbraio del 2014, dieci giorni dopo essere stata aggredita e picchiata nella sua abitazione in via Bocchini.

In particolare, queste le pene (tra parentesi quelle iniziali): 17 anni e 4 mesi (20) a Daniel Constantin Pandelea, 23 anni, rumeno, residente a San Giorgio del Sannio, indicato come colui che avrebbe colpito la pensionata; 14 anni (17) a Giuseppe Mottola, 26 anni, di San Giorgio del Sannio, considerato l'ideatore del colpo; 13 anni (14 anni e 8 mesi) ad Alfredo De Capua, 32 anni, di San Giorgio del Sannio, che avrebbe fornito le informazioni sul 'bersaglio' del raid; 12 anni (16) a Luigi De Vizio, 26 anni, di Torre Le Nocelle, in provincia di Avellino, che aveva preso parte all'incursione nella casa, difesi dagli avvocati Michele Senese, Antonio Leone, Vincenzo Regardi e Agostino Guarente, Vincenzo Todesca.

Come più volte sottolineato, il concorso anomalo, ora ravvisato dalla Corte di appello, era stato prospettato dal pm Nicoletta Giammarino al momento delle richieste di condanne per Pandelea – la più alta – e degli altri (“Perchè le loro condotte hanno avuto come sviluppo prevedibilissimo l'evento più grave”), ma non aveva incrociato il consenso del giudice Camerlengo, che non aveva avuto alcun dubbio sia rispetto ad una diversa qualificazione dell’imputazione (da omicidio volontario a preterintenzionale), sia in relazione all'esistenza del nesso di casualità tra le lesioni subite dalla poverina e la successiva morte. Secondo gli inquirenti, Maria Coppola era stata legata (sovrapponibile a quello di Pandelea il Dna rinvenuto su un laccetto attaccato al letto), colpita con pugni e poi trascinata a terra, dove la sua testa era stata sbattuta sul pavimento.

Una ricostruzione contestata all'epoca dalle difese, che avevano opposto alle conclusioni della dottoressa Monica Fonzo, consulente del Pm, quelle di un loro specialista, il dottore Emilio D’Oro. La morte – avevano sostenuto – è stata causata da un’infezione batterica; dunque, nessun rapporto tra il decesso ed il trauma cranico riportato, peraltro dovuto ad una caduta. Secondo i legali, l’anziana era stata schiaffeggiata e legata al braccio destro con il cordino, ma era riuscita a liberarsi. Si era alzata e svestita, quindi era caduta, battendo la testa. Gli imputati – avevano continuato i difensori - “non avevano alcuna volontà, alcun intento di uccidere. Volevano soltanto mettere a segno un furto. Non c’era in loro alcuna consapevolezza che l’unico schiaffo dato alla donna l’avrebbe portata al decesso. Ecco perché – avevano concluso – “manca la prova certa”. Parole che non avevano incrinato le convinzioni del gup rispetto alla versione dei fatti disegnata da investigatori ed inquirenti. Pandelea aveva aggredito la 72enne, De Vizio aveva rovistato, poi era fuggito quando aveva visto l’altro usare violenza. Doveva essere un furto che nei piani avrebbe dovuto fruttare un paio di chili di oro e 30mila euro in contanti, non un anello e due orecchini. Un raid ispirato e messo a punto, nell’ordine, da De Capua e Mottola. Di qui le condanne per omicidio e rapina. Nella stessa occasione un altro rumeno era stato condannato a 4 anni per rapina ed assolto dall'accusa di omicidio, mentre erano state stralciate altre posizioni per il furto e l'incendio dell'auto utilizzata. Ora il giudizio di appello.

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