«Vi racconto i campi rom delle periferie napoletane»

Antonietta Caroscio dal 2012 è il presidente regionale della storica Opera Nomadi

Pietrelcina.  

E’ di Pietrelcina, ha 31 anni e una laurea specialistica in Reportage Socio- Antropologici, il presidente regionale della storica associazione italiana Opera Nomadi, nata a Bolzano nel 1963, diventata poi una associazione di carattere nazionale nel 1965. Il 26 marzo 1970, con Decreto del presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, è stata elevata a Ente morale nazionale: «Per la consapevolezza che fosse necessario un movimento di volontari organizzato per promuovere interventi atti a togliere gli zingari ed altri nomadi, o gruppi di origine nomade dalla situazione di emarginazione in cui sono relegati e per aprire la collettività nazionale alla comprensione e all'accoglienza dei diversi». A Napoli l’Opera Nomadi si è costituita nel 1997 ed Antonietta è stata nominata al vertice dell’associazione di volontariato nel 2012, lavorando anche da prima, in progetti di scolarizzazione a favore delle comunità di rom serbi e rom rumeni presenti su tutto il territorio cittadino napoletano e provincia, nello specifico presso le comunità di rom serbi di Scampia, Secondigliano, Giugliano e Caivano e presso le comunità di rom rumeni nei vari insediamenti abusivi della città, tra cui l'ultimo quello di Gianturco che ospita circa 500 rom di nazionalità rumena. Come ti sei avvicinata a questa realtà? «A Pietrelcina esiste una comunità rom da diversi anni – racconta Antonietta –. Quando frequentavo le scuole elementari e medie avevo tra i compagni di banco amici di origine rom. Ricordo che in seconda media volli andare a fargli visita. Ero attratta dalla chiromanzia, l'arte di descrivere la personalità e prevedere il destino di un individuo attraverso lo studio del palmo della sua mano, e la lettura delle carte. Fu così che nacque questo mio interesse, fino ad introdurlo nel mio percorso di studi e rendendolo poi impegno sociale quotidiano, con non poche difficoltà, e diventando presidente dell’associazione Opera Nomadi di Napoli nel 2012, con la quale collaboro nei campi rom delle periferie napoletane». Com’è il rapporto tra italiani e rom? «C’è sempre una certa diffidenza, ma non solo da parte degli italiani, ma dagli stranieri tutti. Anche perché sono un popolo che si differenzia molto dagli altri. Noi lo definiamo “nomade”, anche se sono nomadi per necessità in quanto un loro territorio riconosciuto non l’hanno mai avuto. Secondo fonti storico-linguistiche sarebbero nati e poi partiti dal nord dell’India intorno all’anno Mille. Diverse parole sono molto vicine al Sanscrito. Non si può parlare di cucina rom o musica rom. Quest’ultima è spesso associata a quella dei Balcani. Ogni comunità assorbe quelle che sono le tradizioni del territorio in cui vive. I pregiudizi nei loro confronti sono molto radicati, divenendo poi stereotipi: lo zingaro che ruba, lo zingaro che non vuole lavorare». A Pietrelcina invece? «Parlare di integrazione sarebbe troppo, io dico che esiste una civile convivenza. Nel Sannio le altre due comunità si trovano a Paduli e Telese Terme.» Una tua ultima esperienza in un campo rom? «Parlerò di una bella, poiché accadono anche quelle spiacevoli. Il 7 gennaio scorso sono stata invitata da una famiglia del campo di Secondigliano per festeggiare il loro Natale ortodosso. E’ stato un momento conviviale in cui mi hanno reso partecipe delle loro tradizioni. Ricordo al centro della tavola la ?esnica, un pane zingaro, in cui a Natale si mette dentro una monetina. I commensali spezzano il pane e chi trova all’interno la moneta, secondo la tradizione, sarà fortunato tutto l’anno. Nel comune di Napoli, l’associazione svolge ed ha sempre svolto, a titolo volontario, sportello socio-sanitario (mediazione con distretti sanitari locali e ASL, campagne vaccinali, accompagnamento a visite specialistiche, sensibilizzazione alla salute e accompagnamento per rilasci tesserini sanitari) e sportello socio legale (accompagnamento presso prefetture e uffici immigrazione per rilascio documenti di varia natura, pratiche di permessi di soggiorno, richieste per colloqui in carcere per detenuti privi di documenti). Nell'anno 2012,2013 ha condotto un laboratorio artistico di pittura presso il campo comunale di Secondigliano insieme al pittore napoletano Bruno Fermariello che si è concluso con un a mostra an plain air all'interno del campo. Dal 19 gennaio 2015 ha avviato sempre nello stesso campo laboratori artistici di pittura, teatro, fotografia e di intercultura finanziati dalla fondazione Intesa San Paolo con sede a Milano. Il progetto si concluderà nel mese di luglio con un evento finale che riassumerà i diversi momenti laboratoriali di questi mesi».

di Michele Intorcia