«Meglio morire che stare in queste condizioni e non siamo solo noi familiari a dirlo ma anche i malati di Sla». Nel Sannio, forse, sono circa una ventina i casi di persone affette da sclerosi laterale amiotrofica, ma non sono dati ufficiali poiché non esistono, qualcuno dice per questioni di privacy e di conseguenza non si sa ancora il numero esatto. A San Nicola Manfredi c’è il signor Francesco De Bellis, 50 anni, ex marmista, colpito dalla malattia due anni fa, la Sla Bulbare, «La più distruttiva –commenta il figlio Elio, 28 anni, pizzaiolo – e che lo ha ormai relegato in un letto, immobile, senza parlare da circa due anni. E’ costantemente tenuto sotto controllo da noi familiari, un malato di Sla non può essere mai lasciato solo, ha bisogno di assistenza h24, poiché gli vanno aspirati i muchi, altrimenti ostruirebbero le vie respiratorie provocando la morte. Ogni malato di Sla ha un tracheo, per respirare, e una peg per nutrirsi».
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Nella fase più acuta della malattia si diventa progressivamente prigionieri del proprio corpo, mentre dentro le attività cognitive continuano ad agire, fino al punto che gli occhi diventano e restano l’unica parte esterna che i malati riescono a muovere. E’ dagli occhi che parte la comunicazione per loro, aiutata miracolosamente da tecnologie che hanno sostituito la parola emessa, rendendo la vita dei pazienti e dei familiari, per certi aspetti, meno problematica. «Mio padre ha un comunicatore ottico. Con questo strumento riesce anche ad andare su Facebook, ha un suo profilo ed è iscritto ad una pagina dove vi sono tutti malati di Sla, “Als-Sla andata e ritorno”. Fanno amicizia e parlano tra di loro. Con un comunicatore si possono anche creare messaggi vocali tradotti poi da una voce già impostata. In pratica gli occhi si soffermano sulle lettere dell’alfabeto, il computer le riconosce e così strutturano delle frasi. Ci sono poi le icone per navigare su internet».
Michele Intorcia