In un anno di pandemia si è cercato, professionalmente e per quanto possibile, di dare un messaggio che non tendesse al “moriremo tutti” imperante, né al negazionismo spinto. Si è provato a dare una informazione quanto più possibile asettica, eliminando tout court la divulgazione dei messaggi dei virologi quando andavano completamente a ruota libera dando venti dichiarazioni diverse tutte in contrasto tra di loro.
Ciò nel tentativo di seguire un evento che sarà raccontato nei libri di storia, per secoli, in maniera professionale, senza ingenerare panico, senza favorire incoscienze, senza dare informazioni fuorvianti. Nel tentativo, appunto: riuscito? No? E' una di quelle risposte che non possiamo dare. Per fortuna.
E con lo stesso piglio, scrivendo di 15 ricoveri tutti insieme, di ambulanze in fila all'ospedale San Pio, di tredici morti in tre giorni dopo averne raccontati altri 250 nei dodici mesi precedenti, osservare le scene dell'ultimo week end, tra nastri biancorossi tolti dalle giostrine, luoghi d'incontro strapieni, crocchi e sentendo di feste organizzate in casa che puntualmente si trasformano in focolai...la preoccupazione, più che l'indignazione , per quanto accadrà è forte.
Certo, sono dodici mesi, un anno intero in cui una cena con gli amici è diventato il ricordo di un tempo che fu, vedere i bimbi giocare insieme da immagine gioiosa si è trasformata in fonte di preoccupazione: purtroppo non è abbastanza per ignorare quanto accaduto, per ignorare che il picco della terza ondata è appena passato o forse ancora in corso, per ridere, ridere, ridere ancora, che ora la guerra paura non fa.
E nemmeno per le immagini festanti di musica di tamburelli fino all'aurora, in verità.