Il covid è un incubo. Sì, per le vite che ha sottratto, per la paura che ha ingenerato e per il caos che ha creato in cui molti cittadini sono finiti in mezzo.
In alcuni casi ammalarsi di covid ha significato finire in un romanzo di Kafka, e i tentativi di tornare alla realtà si sono infranti spesso in un nulla.
E' il caso di Natascia Perone, 34enne, criminologa e stimata professionista della Valle Caudina...da 42 giorni chiusa in casa senza sapere quando potrà uscire: «Un incubo, un vero incubo» racconta Natascia.
«Mi sono ammalata lo scorso 2 novembre...e non sono stata tra gli asintomatici, quindi ho sperimentato la cattiveria del coronavirus sulla mia pelle, e assicuro che non è una bella esperienza. In ogni caso l'ho superata, ma poi sono finita in qualcosa di peggiore rispetto al covid».
Eh sì, perché mentre la malattia ha una cura, un decorso, quando ci si ritrova negli ingranaggi delle burocrazie è difficilissimo uscirne: «Ad oggi, e siamo al 15 dicembre, non mi è mai arrivata la liberatoria: non posso uscire perché commetterei un reato. Sono negativa, come risultato dai vari tamponi, ho chiesto all'Asl, al medico di base, a chiunque, ho scritto mail di sollecito, fatto telefonate, ma nulla, io dopo 42 giorni sono ancora chiusa in casa».
Perché? E' un mistero. C'è ovviamente da considerare che le istituzioni sanitarie, i medici e gli uffici amministrativi si sono ritrovati com'è noto sommersi dalla pandemia (che però si sapeva sarebbe arrivata e con numeri importanti), ma se i cittadini ci finiscono in mezzo, come Natascia, è una vera e propria beffa: «Mi sento dare risposte varie sulle rispettive responsabilità, ma non una definitiva che mi dica: ok, scusaci, ti mandiamo un benedetto foglio. Perché non è che il mio problema è solo lo stare in casa da 42 giorni, che già di per sé è qualcosa che un po' di nervosismo lo crea, ma perché sono 42 giorni che non posso lavorare, ho un mare di cose da fare e ovviamente ho bisogno di lavorare. Tantopiù che nel marasma delle comunicazioni incrociate, c'è pure la grana che nonostante sia un caso covid conclamato, con decine di tamponi positivi privati e Asl a provarlo, non so se mi verrà riconosciuta la malattia professionale, ed è un'altra grana che devo sbrigarmi quando mi faranno uscire di casa. E' un incubo, un vero e proprio incubo».