(effeffe) - Lo hanno svuotato. Non chiuso. Il centro di accoglienza “Damasco 11” di Cautano non ha più un solo immigrato. Tutti gli ospiti sono stati prelevati e trasferiti a Terzigno. Una trentina di persone, per la gran parte provenienti da Senegal e Ghana.
Non un problema di integrazione, alla luce dei rapporti più che buoni con la popolazione di Cautano, che a quei ragazzi aveva imparato a voler bene.
Non un problema di sicurezza, visto che nei tre anni di attività né polizia né carabinieri avevano mai avuto a che fare con quella struttura.
Immacolata Pagano, responsabile del centro e mediatrice culturale, è in lacrime quando l'avviciniamo. Si sfoga con il piglio e l'orgoglio di chi, per il lavoro svolto, ha sempre fatto le cose in regola: “E' la giornata più difficile da tre anni a questa parte. Quello che lascia increduli è la totale assenza di motivazioni. Abbiamo ricevuto il decreto di svuotamento del nostro centro dalla Prefettura e zero spiegazioni”.
Immacolata s'interrompe, gli ospiti la circondano per un ultimo abbraccio. Tante le cose condivise. L'affetto che lega gli operatori della struttura agli immigrati è palpabile. Qualche lacrima solca anche i visi degli ospiti, prima che uno ad uno rispondano all'appello delle forze dell'ordine per essere messi a bordi di pulmini fatti giungere sul posto.
Immacolata Pagano riprende a spiegare: “Noi abbiamo operato per realizzare quella integrazione che poi è nei manuali di comportamento da tenere con la gestione dei centri di accoglienza. Siamo stati gli unici a sfilare alla parata militare organizzata per il 2 giugno. Eravamo insieme a tutte le altre rappresentanze della Repubblica, un riconoscimento istituzionale unico nel Sannio. Ma non è bastato”.
Nessuno ne parla apertamente, ma è fin troppo chiaro che il centro “Damasco 11” di Cautano sia finito in uno dei primi provvedimenti di riequilibrio delle presenze in Irpinia e nel Sannio perché associato alla rete “Maleventum”. Un consorzio al centro di una inchiesta della Procura di Benevento, che ha portato anche ad arresti. La magistratura su quella rete di centri, che fatturavano a fine anno cifre a sei zeri, vuole vederci chiaro. Non tutte le strutture erano così ben gestite come “Damasco 11”. Magari bisognerà anche capire come taluni “consulenti”, grazie a Maleventum, potevano permettersi di andare in giro in Ferrari mentre, stando agli accertamenti della Procura, in qualche centro mancavano acqua e riscaldamenti.