La folla commossa che ieri sera è andata al Duomo di Avellino per salutare per l’ultima volta Antonio Di Nunno ha tributato all’uomo gli onori meritati con una vita esemplare. Non più sindaco da oltre 11 anni, con apparizioni pubbliche sempre meno frequenti, la gente gli ha tributato, con la propria presenza ai funerali, onori e rispetto per un’intera vita dedicata alla comunità. L’esempio. Sentire propria un’istituzione sotto il profilo della responsabilità, con la consapevolezza di non esserne però proprietari. Fare fino in fondo il proprio dovere, senza attendersi per questo un ringraziamento, un pubblico riconoscimento, un vantaggio personale. Uno stile raro per la società italiana di oggi, dentro e fuori il mondo politico, quello che ha caratterizzato il cammino di Antonio Di Nunno, percorso entro l’unico limite (invalicabile) dell’interesse pubblico. Non dava del tu al potere (che gli derivava dalla sua posizione), anzi badava che altri, intorno a lui, potessero approfittarne, violando il patto con la gente. Per Di Nunno il potere era lo strumento per migliorare le condizioni di vita della comunità, non un fine personale, un ascensore per la carriera politica, l’arricchimento personale o la gloria. Come un antico romano (dei tempi repubblicani...!) metteva sotto i rifletti la sua condotta pubblica e privata. Riteneva i comportamenti decisivi quanto le scelte e le azioni. La responsabilità deve dare l’esempio, sembra il suo motto: chi ha potere deve evitarne l’abuso anche apparente, adoperandolo in maniera mirata, con misura e sobrietà. In questo senso, se in politica l’ambizione non è peccato, la presunzione oltre i limiti individuali e personali va ostacolata, ne consegue. Accettando di fare il sindaco, nel marzo del 1995, sapeva che ci avrebbe rimesso parte dei suoi guadagni professionali e della carriera. Ma a differenza di quanto accaduto alla fine degli anni ‘70, quando rifiutò l’incarico perché ancora solo un ‘giovane militante professionalmente acerbo’, nel ‘95 da professionista affermato sulla soglia della mezza età si pose al servizio di una causa più grande, in una fase di forti cambiamenti politici nazionali e locali. Accettò la proposta avanzata da Enzo De Luca a nome del Ppi, con il proposito di spendere nella missione pubblica i valori cristiani che lo avevano ispirato in politica e nel giornalismo. L’amministrazione comunale produceva conseguenze sulla gente e su una città, che aveva un ruolo nel contesto più generale del Mezzogiorno. Questa responsabilità gli dettava l’agenda, ordinava il suo tempo, quindi gli precludeva altre opportunità che, pur legittime, lo avrebbero distolto dal suo compito. Per queste ragioni nel 2001 rifiutò un’altra proposta, quella di candidarsi nel collegio cittadino per la Camera dei Deputati, dimettendosi da sindaco. «E’ un onore che potrò eventualmente consentirmi una volta terminato il mandato», disse ai cronisti, ripetendo un pubblico quanto affermato nelle sedi di partito. In questa vigilia nervosa per il prossimo appuntamento elettorale regionale, dominato dalle ambizioni scoperte in tutte le forze politiche, dal centro alla destra alla politica, questo spirito di sacrificio e alto senso del dovere risponde al monito pronunciato solo pochi giorni fa dal Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, nel suo messaggio di fine anno alla Nazione. L’eredità morale, quella più preziosa che da oggi Di Nunno lascia ai giovani, è l’antidoto all’antipolitica. Le reazioni. Tanti i messaggi di cordoglio per la morte dell’ex sindaco di Avellino. Per Franco Russo, consigliere comunale del Pd, «il rigore morale e la dedizione nell’interesse generale alla causa della città costituiscono un monito per le nuove generazioni», ha affermato uscendo dal Duomo, al termine dei funerali. «Con il tempo, il frutto delle sue opere ci apparirà ancora più significativo: con lui Avellino perde un riferimento che la folla radunatasi per l’ultimo saluto dimostra essere ancora vivo tra la gente». Per le Acli irpine, che esprimono «le più sentite condoglianze ai familiari», Antonio Di Nunno era «uomo esemplare nelle sue azioni, capace di interpretare i bisogni della città di Avellino, protagonista di scelte mirate e lungimiranti, vocato all'altruismo e al bene comune». L’auspicio è che «la sua condotta possa essere di esempio per le future generazioni». L’ex vicesindaco Giuseppe Vetrano ricorda i giorni amari delle sue dimissioni e di quelle che Di Nunno presentò poco dopo, costretto dalla crisi in Consiglio. Anche Franco D’Ercole torna in un messaggio sull’epilogo dell’esperienza amministrativa dinunniana, «l’ultimo vero sindaco che questa città ha avuto», scrive.
Christian Masiello