Far crollare un governo, come se fosse un giochino è stato un delitto

L'analisi del consigliere regionale delegato alle aree interne Francesco Todisco

far crollare un governo come se fosse un giochino e stato un delitto

Riscrivere la geografia della sofferenza nel Paese che nel corso dei decenni è mutata: oggi i primi a soffrire sono i giovani, o non più tali, che hanno studiato, immersi in una bolla che ha reso i loro sforzi vani...

Avellino.  

"Per mesi non ho scritto della situazione politica. Da quando sono calate le tenebre del grillismo su questo Paese, ogni commento politico su ogni evento diveniva superfluo, poiché sono valse logiche che con la politica non avevano nulla a che fare. Un’aggressione rozza alle regole istituzionali e democratiche che avrebbe, secondo qualcuno, risanato la politica, ma che altro non era che la corrosione, dalle basi, delle regole con cui si sta insieme in una comunità." L'analisi del consigliere regionale delegato alle aree interne Francesco Todisco.

"Una cancellazione sistematica delle più elementari regole della democrazia: l’uno vale uno, l’interscambiabilità fra parlamentari (come se non fosse necessario avere alcuna competenza per farlo), il “mandato zero”, i “plebisciti digitali”, l’inutilità dei partiti, l’utilizzo dei social come indice di gradimento, l’utilizzo rabbioso dei social verso “la casta”, il pressappochismo di riforme che hanno impoverito le energie migliori del Paese (dal reddito di cittadinanza così com’è all’utilizzo scriteriato di bonus per ogni roba), i tagli ai costi della politica che sono diventati tagli alla rappresentanza democratica e tutto il resto hanno il proprio responsabile nella “noncultura grillina” che ha preso gli istinti peggiori del Paese e li ha portati a classe dirigente. Non che prima non vi fossero segnali di quella incultura, a destra, a sinistra e al centro, ma il Movimento ha avuto il “merito” di averla portata a sistema, a valore.

Solo che con gli istinti, i vaffa, la rabbia social, il non sapere che prende in giro chi, invece, qualcosa la sa, non si governa. E prima o poi, più prima che poi, com’è accaduto, si ritorcono contro chi li strumentalizza. La politica guida i processi, ha un ruolo pedagogico, eleva gli istinti in ragione, la rabbia in proposta, l’inquietudine in progetti.

Vedere Conte e il suo Movimento consumarsi in un lento suicidio, per stessa mano del non-pensiero e degli strumenti che hanno messo in piedi in questi anni, dovrebbe arrecare un sottile piacere a chi lavora per il riscatto della politica, ma fa solo tristezza perché quel suicidio si realizza sulla pelle degli italiani. Far crollare un governo e mettere fine anticipata a una legislatura come se fosse un giochino, come se questa scelta non avesse conseguenza nella vita reale degli italiani, è stato un delitto.

Il mio dispiacere diventa più grande nella consapevolezza che tanta parte della classe dirigente del “campo largo del centrosinistra” questa roba l’ha accarezzata e inseguita. Ha visto in Conte un riferimento, basandosi sulla contingenza numerica e non chiedendosi mai cosa avesse in comune quel movimento con noi. E cioè: nulla, nulla, nulla! Per chiarire meglio il concetto: nulla! Qualcuno, addirittura, ha pensato che il capovolgimento di fronte di Conte, dal governo giallo-verde (con la Lega!!!) al governo giallo-rosso, fosse il modello di riferimento. Come se la storia non avesse pagine alle proprie spalle, come se fosse la cosa più normale del mondo scegliere come alleati la Lega, prima, e il Pd, poi. Eppure, qualcuno ha veramente pensato che Conte potesse essere riferimento del mondo progressista.

Quel qualcuno, invece, prima o poi, dovrà interrogarsi degli errori fatti dal governo Conte nella stagione drammatica della pandemia: chiusure e aperture del Paese senza un’idea di cosa si stesse facendo; un rigore a fisarmonica, con le fasce colorate che hanno dominato le nostre vite per mesi, a seconda delle tirate di giacca di questa o di quella Regione e di questa o quella forza produttiva; i bonus più disparati (qualcuno se lo ricorderà mai il bonus per la settimana bianca!?!?!? E qualcuno scoprirà mai il nesso di causalità che queste robe hanno avuto sulla salute dei cittadini???). Un’esperienza di governo balorda, a cui il governo successivo Draghi ha avuto solo il ruolo di riportare un po’ di normalità, di serietà, di razionalità, un pizzico di competenza nelle scelte a farsi. Nulla di straordinario intendiamoci, nulla per cui scaldare i propri sentimenti per la politica, ma quanto meno un soffio di serietà che mancava al Paese da tanto.

Finché, nel giochino perverso di Conte, trasformatosi nell’inconsapevole burattino nelle mani di chi ha avuto convenienza a interrompere questa legislatura, questa roba non è stata buttata via. Ora, cosa dovrebbe fare una forza progressista? Tutto ciò che non hanno fatto finora il Pd e i suoi alleati: ripartire dai fondamentali e finirla di accarezzare gli avventurieri che solitamente finiscono la loro avventura là dove la iniziano: nel nulla. Dirsi che i partiti servono, perché senza non si forma classe dirigente capace di stare nei luoghi della democrazia. Che i partiti servono perché non tutti valgono lo stesso: perché chi dimostra di avere più competenza è giusto che assuma ruoli e funzioni di direzione. Che i partiti servono per fare gavetta, poiché prima di sedere in Parlamento sarebbe necessario (obbligatorio) che gli stessi selezionino fra chi qualche anno in Consiglio comunale e in Consiglio regionale se l’è fatto, poiché risulterebbe strano che chi non abbia mai approvato una delibera consiliare in vita sua si ritrovi poi ad approvare una legge. Che i partiti servono per far vivere la democrazia nella realtà e non nella finzione dei social.
Il fatto che i partiti, col tempo, abbiano perso l’abitudine a fare tutto ciò, delegittimandosi a favore di consorterie varie, avrebbe dovuto imporci il loro rinnovamento e non la distruzione della loro funzione.
Dirsi che la democrazia non è un costo ma un valore e che, di conseguenza, le riforme che colpiscono la “casta” (riduzione del numero dei parlamentari e “abolizione” delle province) non sono stato altro che un colpo alla democrazia.

Riscrivere la geografia della sofferenza nel Paese che nel corso dei decenni è mutata: oggi i primi a soffrire sono i giovani, o non più tali, che hanno studiato, immersi in una bolla che ha reso i loro sforzi vani. Per ragioni economiche, poiché è sempre più complicato che un ragazzo riesca a svolgere lavori più remunerati e qualificati dei propri genitori e per ragioni identitarie, poiché non viene valorizzato, in termini di scelte politiche concrete, chi sui libri e negli studi ha sacrificato un’esistenza.

Le classi medie incazzate non sono un’invenzione di Ilvo Diamanti o del sociologo di moda, ma sono esattamente questa cosa qui: la maggioranza silenziosa e disillusa che si allontana della vita pubblica. Genitori incazzati perché hanno visto vanificati i loro sforzi per la crescita sociale dei loro figli; figli incazzati perché non sono stati messi nelle condizioni di valorizzare i propri sacrifici e quelli dei propri genitori.
A una domanda di crescita di milioni di ragazzi abbiamo risposto con la politica dei bonus (come se fossero duecento euro in più in un anno a sostenere la crescita di un bimbo e non una politica che sostenga le scelte genitoriali nel gestire le proprie esistenze e le proprie aspettative occupazionali) e con quella del reddito di cittadinanza che, per eterogenesi dei fini, partendo da un’istanza sacrosanta di giustizia sociale è stata realizzata con un’approssimazione tale da screditare uno strumento che avrebbe potuto essere utile, ma che alla prova dei fatti non si è mostrato tale. Anzi, per non poche eccezioni, è diventato uno strumento per fregare lo Stato e, quindi, chi più merita e ha bisogno.

Questo insieme di persone qui, di chi aspira con lo studio a emanciparsi dal bisogno, è stato il mondo di riferimento delle forze progressiste. Da lì sono venute le nostre classi dirigenti. Li abbiamo lasciati a loro stessi, al loro disagio che è diventata rabbia silenziosa. Il disagio, il bisogno, il rancore non vanno per il sottile. E oggi interrogarsi su come mai tanta di quella parte guardi a destra diventa quasi superfluo. Con l’avvertenza che a nulla varrà, da parte nostra, gridare allo spauracchio fascista.

La destra si sconfigge con una visione di Paese, con una visione che valorizzi le migliori energie, che le richiami all’impegno civile e democratico facendole sentire rappresentate nei loro bisogni e nelle loro esigenze. Tutt’altro da quanto è stato fatto finora. Da qui dovremmo ripartire. Non solo da qui, certo: questi sono solo alcuni dei fondamenti, solo alcune suggestioni su cui ricostruire. Da qui dovrebbe ripartire una classe dirigente di Sinistra degna di questo nome, non prima però di aver umilmente e sommessamente chiesto scusa per il tempo perso dietro a un inseguimento culturale e tattico (sanguinoso e autolesionista) verso un movimento che nulla aveva e nulla ha a che fare con le nostre radici, con la politica più in generale e con la costruzione di una democrazia matura.