La sentenza di Appello sulla trattativa Stato-mafia scatena le reazioni politiche. L’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino, assolto già in primo grado dall’accusa di falsa testimonianza, è soddisfatto: "Il processo sulla trattativa è stato spazzato via da una sentenza scrupolosa. L’intera vicenda giudiziaria non doveva mai iniziare”.
Tutti assolti i carabinieri imputati, gli ex alti ufficiali Mario Mori, Giuseppe De Donno e Antonio Subranni, ma anche l'ex senatore Marcello Dell'Utri. In primo grado Nicola Mancino era stato imputato per falsa testimonianza, a differenza degli altri imputati accusati di minaccia a corpo politico dello Stato. "Il processo è stato lungo - dice Mancino - in appello viene messo in discussione tutto". E aggiunge: "Sono contento che ci sia stata questa sentenza però io ci sono arrivato per prima, dal 2018, dopo la sentenza di primo grado".
La Corte d’Appello di Palermo ha ribaltato la sentenza di primo grado nel processo sulla presunta trattativa Stato-mafia, di fatto i giudici hanno ritenuto vero che la mafia tentò di piegare lo Stato con gli attentati dei primi anni Novanta, e che dialogò con gli ufficiali imputati. Ma questi ultimi, dice la sentenza, lo fecero per ragioni investigative, e non esercitarono pressione su politici e ministri perché cedessero alle richieste mafiose.
Anche se le motivazioni saranno pubblicate entro i soliti 90 giorni è una sentenza molto rilevante, già estesamente commentata, arrivata dopo tre giorni di camera di consiglio e soprattutto dopo anni di grandi dibattiti e teorie che avevano diviso giornalisti, accademici e magistrati. La tesi dell’esistenza della trattativa riguardava le stragi del 27 maggio 1993 in via dei Georgofili a Firenze (5 morti e quasi 50 feriti) e della notte tra 27 e 28 luglio in via Palestro a Milano (5 morti e 12 feriti) nonché con le bombe, sempre la stessa notte, a Roma alle chiese di san Giovanni in Laterano e di San Giorgio al Velabro (oltre 20 feriti in totale).
Nella sentenza di ieri è stata confermata la condanna al medico di Totò Riina, Nino Cinà, al boss Leoluca Bagarella (da 28 anni del primo grado la pena è stata ridotta a 27) mentre sono state dichiarate prescritte le accuse a Giovanni Brusca. Dell’Utri è stato assolto perché «il fatto non sussiste», e quindi con una motivazione ancora diversa rispetto a quella degli ufficiali (nel loro caso, «il fatto non costituisce reato»).
La conclusione dei giudici è che gli imputati ebbero contatti e colloqui con il sindaco di Palermo Vito Ciancimino, referente della mafia, ma solo per ottenere informazioni e portare avanti le loro indagini. E che quindi non fecero pressioni, come precedentemente ipotizzato, su Nicola Mancino (allora ministro dell’Interno), su Claudio Martelli (ministro di Grazia e Giustizia) e su Luciano Violante (presidente della commissione parlamentare antimafia), perché cedessero alla violenza.
Diverse le reazioni politiche. «La rispettiamo e non la commentiamo - recita un comunicato dei parlamentari della commissione Giustizia -. Possiamo solo aggiungere che rimaniamo in attesa di conoscere nel dettaglio le motivazioni». Poi «il fatto non costituisce reato lascia intendere che i fatti siano confermati e che a livello politico restino intatte le responsabilità».
Il leader Pd Enrico Letta: è «sorpreso», la sentenza «farà discutere», e comunque «su temi così complessi serve leggere le motivazioni».
Matteo Renzi parla di «una pagina di storia giudiziaria decisiva per il paese» e afferma: «Ciò che per anni i giustizialisti hanno fatto credere nei talk show e sui giornali era falso: non c'è reato. Ha vinto la giustizia, ha perso il giustizialismo». Matteo Salvini si dice «felice» per l'assoluzione, che è «l'ennesima prova che è necessaria una vera e profonda riforma della giustizia, tramite i referendum promossi dalla Lega».
Un j'accuse durissimo arriva da Fiammetta Borsellino, figlia del magistrato ucciso dalla mafia: «Ho sempre avuto dubbi sull'inchiesta, e ritenuto scorretto che a pomparla mediaticamente fossero i pm titolari: un comportamento che mio padre non avrebbe mai approvato». E denuncia: «Le energie dedicate alla trattativa potevano essere indirizzate verso piste che volutamente non si sono percorse».