Man mano che si avvicina la prima udienza per l’Alto Calore fissata per il prossimo 19 ottobre presso la Fallimentare del Tribunale di Avellino, cresce la preoccupazione per i risvolti economici ed occupazionali, non solo politici, che questa vicenda rischia di portare con sé. Nel frattempo continuano le audizioni dei sindaci davanti ai Pm. I magistrati stanno cercando di ricostruire le gestioni degli ultimi dieci anni della società che si occupa della captazione e distribuzione dell’acqua in Irpinia e Sannio. La Procura sta lavorando sull’ipotesi di bancarotta fraudolenta, alla luce di alcune incongruenze nei bilanci che portano a profilare un “fallimento preordinato”. Preordinato da chi o per quale motivo non è dato saperlo (si fa fatica a pensare che qualcuno tra gli amministratori che si sono succeduti abbia volutamente agito per portare l’azienda al fallimento), quello che è certo è che negli ultimi anni l’azienda consortile pubblica ha accumulato milioni di debiti a fronte di un piano di risanamento inefficace secondo i finanzieri. Dei 150 milioni di debito accertato 80 milioni sono di crediti messi a bilancio, e 72 milioni di questi sono inesigibili, perché caduti in prescrizione. Strategie contabili per andare avanti probabilmente, ma tra gli effetti immediati della bufera giudiziaria che si è abbattuta adesso sull’Acs ci sono le grandi opere di manutenzione già messe in campo come quella di Cassano che rischiano di essere fermate con gravi ripercussioni su imprese e lavoratori. Le stesse banche creditrici dell’azienda pubblica sembra abbiano già avvisato di avere intenzione di chiudere i rubinetti, mettendo a rischio anche la liquidità necessaria all’azienda per pagare gli stipendi ai dipendenti.
Come se ne esce da tutto questo? Difficile dirlo, le indagini continuano, ma adesso tra i sindaci si fa largo l’ipotesi del concordato preventivo per tutelare lavoratori e creditori. Il ricorso alle procedure concorsuali potrebbe essere una strada percorribile ma non certo facile. L’inquadramento giuridico delle società partecipate rappresenta, ancora oggi, un problema, si tratta infatti di soggetti ibridi, a metà strada tra il diritto pubblico ed il diritto privato. Di conseguenza, appare difficile collocarli tra gli enti pubblici o tra le società private con evidenti difficoltà in ordine alla corretta identificazione della natura giuridica degli atti posti in essere. Ovviamente le procedure concorsuali non bastano. A questo andrebbe accompagnata necessariamente una radicale modifica strutturale dell’ente.