De Mita: Tocca a tutti noi aiutare il Pd a cambiare la storia

Vedo abusare del mio cognome come velo dietro al quale nascondere cattive coscienze

Avellino.  

Onorevole, partirei dalla fine: perché Franco Festa, uno degli animatori dell'associazione Controvento, al termine della seconda riunione convocata per discutere come mettere insieme il centro sinistra (o il campo democratico di sinistra citando Generoso Picone) si è sentito deluso al punto tale da ufficializzare la sconfitta della loro iniziativa?

Ognuno ha messo dentro queste assemblee il carico delle proprie attese o delle proprie preoccupazioni, in alcuni casi quello dei sospetti, fino a qualche maldicenza. E così adesso ognuno attribuisce a questo percorso un senso che corrisponde a quel carico di pensieri.

Credo che, non avendo avuto né l’ansia di un risultato immediato, né la preoccupazione di una sottrazione di spazi, possa cogliere un elemento oggettivo: le forze politiche e i movimenti dell’area democratica hanno ripreso a parlarsi pubblicamente dopo anni senza segnali di fumo o ristrette conventicole. Questo è un dato indiscutibile. Ora si troverà di certo un modo per andare avanti facendo tesoro di quanto è maturato in questa settimana. Che sia il PD a farlo è il mio auspicio. Ma dopo i due incontri il percorso prosegue da questo punto. Sarebbe un errore interromperlo o tornare indietro.

Riavvolgiamo il nastro. Partiamo dall'entusiasmo che le primarie del Partito democratico hanno liberato, rivelando una società civile capace di anticorpi spontanei alla deriva delle destre. Le amministrative, a quel punto, si presentavano come l'attimo fuggente da cogliere al volo, con la città di nuovo al centro di interessi regionali e nazionali. Controvento era tutto questo...

L’iniziativa di Controvento non nasce per capriccio, ma è conseguenza diretta di un invito fatto dal segretario regionale eletto dalle primarie (da lui vinte anche ad Avellino città), affinché si desse vita ad un luogo di discussione nel quale ritrovare le forze democratiche, cogliendo che Avellino, unico capoluogo di provincia al voto in Campania e con una amministrazione uscente grillina, può diventare un laboratorio politico in una fase nuova caratterizzata dal risorgere inquietante della destra. Un’intuizione in linea con il messaggio delle primarie.

Le cose in questa sequenza hanno un senso preciso. Per questo non si può che proseguire da qui. Perché non si può perdere questo prezioso lavoro di ripresa di dialogo tra le forze politiche e di coinvolgimento e partecipazione dei movimenti associativi. Occorre trovare il modo perché tutti gli attori che sin qui si sono ritrovati partecipino e condividano le scelte che si faranno.

E quello che seguirà non potrà che essere coerente con la premessa di voler costruire un passaggio politico di riscatto dell’area democratica. Così sbaglia di grosso chi allude a veti. In politica esiste la logica dei comportamenti. Un disegno con queste caratteristiche ha una contraddizione irriducibile con l’autoreferenzialità individualista ai limiti del narcisismo.

Ma le ragioni dello stare insieme si scontrano con gli egoismi di sempre e i personalismi che si celano dietro interessi grandi e piccoli. Contro di lei è palpabile una ostilità che non trova vere ragioni. Tutti sono pronti a puntare l'indice ma in giro di “senza peccato” non se ne vedono.

Ostilità…non saprei. Userei un’altra espressione: vedo abusare del cognome De Mita come velo dietro al quale si nascondono le cattive coscienze. Un modo di fare carico di ipocrisie. Il problema vero non è personale, però, e mi pare più serio. Alcuni, per furbizia, cercano di tradurre una giusta esigenza di cambiamento in una ricerca indiscriminata del colpevole senza alcuna riflessione autocritica seria sugli errori compiuti. Ci sono rinnovatori le cui parole sul cambiamento fanno a pugni con le proprie biografie personali. Direi quasi che sarebbe necessaria una bonifica che liberi dal sovranismo psicologico per cui ci si sente esclusivisti della morale o padroni di luoghi e comunità. Il recupero della politica e dei suoi attori collettivi credo che sia l’unica strada per provare a cambiare.

Il Partito democratico è a un bivio. O lavora per una coalizione, anche debole ma di sani principi, o risposa le logiche dei portatori di voti, facendo ripiombare il capoluogo nella logica della spartizione. Questa operazione non avrebbe futuro perché inevitabilmente priva di una visione.

A me pare che una scelta il PD l’abbia già fatta e non è una scelta debole.

È stato il PD a lanciare questo percorso, e non vedo intenzioni di rinuncia, anche perché una rinuncia produrrebbe conseguenze peggiori che non avervi proprio dato inizio non solo sul piano locale. Si tratta di capire fin dove arriverà. Certo, che sia un passaggio stretto è chiaro. Ma non vedo strade alternative. Se il PD non andasse fino in fondo le conseguenze vere sarebbero quella di disperdere l’attenzione recuperata con le primarie e quella di isolarsi perdendo il dialogo con i movimenti civici e le altre forze politiche frutto delle due assemblee cittadine, in un momento politico generale nel quale occorre guardare con nuova attenzione alla ampiezza ed alla qualità delle coalizioni.

Però si tratta di capire se questa scelta sono disposti a farla anche gli altri. La cultura della coalizione non è una cosa comune e scontata. E non è compito di uno solo. Nel momento in cui il PD dice di voler essere trainante in quanto più forte, ma non egemonico perché più forte, apre una possibilità. Bisognerà capire anche la disponibilità degli altri a coglierla. E la loro lucidità. Annunziata ad Avellino ha fatto un passaggio, non adeguatamente sottolineato: il PD si sta riprendendo; ma questa ripresa è inutile se, tra le altre cose, non avrà un soggetto politico di centro in grado di accompagnarlo in questo percorso di ricostruzione della rappresentanza … Un soggetto politico di centro... Per questo oggi non mi chiedo tanto se il PD ha capito quale sia il suo nuovo orizzonte, ma mi chiedo piuttosto se abbiamo capito noi quale sia il salto di qualità politico che dobbiamo compiere, invece di nascondere le nostre incertezze nel civismo e nelle divisioni.

La dichiarazione di predissesto è la firma in calce ad una sonora bocciatura della classe dirigente che ha amministrato la città. Soprattutto i lavori pubblici sono stati gestiti con approssimazione e superficialità che forse nascondono ben altro.

Mi preoccupa di più capire da dove possa ripartire la nuova amministrazione. Vedo troppa disinvoltura di giudizi sul predissesto e sulle sue conseguenze per i cittadini. Occorre un pensiero nuovo sul modo di gestire la città, i suoi luoghi e i servizi ai cittadini, fuori dallo schema tradizionale pubblico erogatore/privato beneficiario; ci sono così tanti i vincoli di spesa che in attesa di cambiarli la società rischia di morire. Il tema vero oggi è la generatività: come una comunità partecipa alla organizzazione dei propri servizi, soprattutto attraverso forme di impresa sociale, esaltando la dimensione pubblica nel bene comune da tutelare e non nella impostazione burocratica del sistema.

Da dove si riparte, quali potrebbero essere le cose da fare, le vere emergenze da affrontare per rimettere in moto la città?

Mettere in sicurezza la quotidianità mi pare la cosa più urgente. Trasporti, scuole, assistenza, qualità dell’ambiente, servizi ai giovani, criminalità strisciante. Abbiamo una quotidianità piena di calcinacci che cadono, fatta di emergenze e di mancanze. Il primo punto essenziale mi pare questo.

E poi una visione di Avellino con occhi che guardino dall’esterno. Solo così possiamo provare ad essere un riferimento per tutto il movimento delle aree interne. Avere il punto di vista di chi ci guarda da fuori e migliorarci in modo da rendere quel punto di vista quanto più corrispondente con la nostra autentica identità. La questione non è come ci sentiamo noi, ma come ci percepiscono gli altri. E chi vive la città di Avellino da dentro e da fuori si rende conto che oggi esiste una asimmetria profonda tra questi due piani.

Suggerirei poche cose, dunque, essenziali e concrete. Ma che siano il segno culturale della comunità di donne e uomini che vogliamo vivere.