Pucci Bruno: "Né generali né controfigure per Avellino"

Vera parte illuminata dalla giunta Di Nunno, ecco il manifesto del futuro possibile

Avellino.  

Giuseppe Bruno, professore associato di Ricerca Operativa e Metodi per le Decisioni presso l’Università di Napoli “Federico II” e professore di Ricerca Operativa all’ Università di Napoli “Parthenope”, è stata una delle figure di riferimento della giunta Di Nunno, la parte illuminata. A persone come lui, che alla politica possono offrire e non prendere dalla città, bisognerebbe guardare per imprimere al dibattito verso le amministrative una svolta seria, credibile.

Perché nonostante l’agitarsi di mezze figure, anche ad Avellino il vero nemico da tenere ben presente è l’egoismo cieco della destra, quello che porta all’indignazione e ai muri e quello cui una città come Milano ha detto no, allagando le sue strade con centinaia di migliaia di persone desiderose di testimoniare un cambiamento, una inversione.

Insomma, Avellino ha due nemici. I ladroni, ma quelli oramai li conosciamo tutti, nome per nome e fatto per fatto, e i rappresentanti dell’antipolitica, dei quali, come sembra, si sta già occupando la storia per mandarli in archivio.

Professore, certe domande indirizzano, condizionano. Ma chiederle un giudizio su Avellino, oggi città deserto, è una sofferta constatazione, piuttosto che uno degli scenari possibili.

L’evidenza non può essere negata, anche alla luce dell’ultima vicenda amministrativa e delle gravissime condizioni finanziarie. Tuttavia la crisi di Avellino ha radici molto profonde. Si inscrive in una situazione generale di difficoltà del mezzogiorno d’Italia che, negli ultimi anni, ha visto aumentare notevolmente le differenze con il resto del paese e dell’Europa. A questo va aggiunta una condizione locale: stiamo ancora vivendo i postumi della sbornia degli anni vissuti nell’illusione che la concentrazione di potere consentisse di risolvere i problemi anche a dispetto di competenze ed efficienza, calpestate da un sistematico clientelismo.

Si parte sempre da un vuoto, che è la prospettiva, la possibilità delle cose. Di Nunno aveva una visione... dopo di lui il nulla.

Di Nunno aveva una visione che si confrontava e si integrava con quella dei partiti cittadini che, in quella fase, erano ancora in grado di elaborare proposte e di esprimere personalità capaci di interpretarle. Dopo di allora è iniziata la fase dei “liberi professionisti” della politica, che hanno iniziato ad agitare la scena cittadina, attraverso composizioni e scomposizioni civiche che spesso nascondono i metodi e gli interessi di sempre.

L'urbanistica, il primo dei grandi mali della città, ha fatto e continua a fare tutti i danni possibili, lasciando spazio alla voracità imprenditoriale piuttosto che alla vivibilità ed al benessere, anche economico, delle persone.

L’urbanistica può essere un fondamentale strumento di governo. Se lasciata al meccanismo delle interpretazioni tecniche, diventa occasione di speculazione e malaffare. Spesso grazie alla connivenza di pezzi dell’amministrazione pubblica.

Nonostante il Pd, Abruzzo e Sardegna insegnano che la società sia in grado autonomamente, di sviluppare gli anticorpi rispetto ai mostri generati dal populismo di destra.

Quella parte della popolazione, una volta maggioritaria, che ritiene che gli ideali di giustizia sociale debbano essere al centro dell’azione politica, fortunatamente, non è destinata a scomparire. Sarebbe paradossale il contrario, considerando che viviamo in un mondo dove l’1% della popolazione più ricca possiede circa il doppio della metà della popolazione più povera. E, poiché si prevede che questa situazione tenda a peggiorare, persino i tecnocrati indicano la lotta alla disuguaglianza come il tema dei prossimi decenni.

Ma allora perché la sinistra non è in grado di intercettare questa domanda?

Anche in questo caso bisogna riconoscere che la crisi della sinistra è generale a livello europeo o addirittura mondiale. Prova ne sia che in Europa governa solo in Grecia ed in Portogallo; in alcuni paesi di forte tradizione, come la Francia, poi è ridotta persino peggio che da noi. A questo si aggiunge la peculiarità italiana.

E quale sarebbe?

Dovendo schematizzare, il termine più adatto a rappresentarla potrebbe essere “ritardo”. Nella recente storia il PCI, ad esempio, è diventato socialdemocratico con qualche decennio di ritardo, quando la socialdemocrazia mostrava già i suoi affanni. Renzi si è messo a fare il blairiano quando quella filosofia era stata già sepolta dalla crisi.

E quali potrebbero essere considerati oggi i maggiori ritardi?

La sinistra ha smesso di ascoltare e comprendere i bisogni della gente: solo in questo modo si può definire, in modo non elitario, un ordine di priorità dei problemi per i quali offrire una risposta di governo. L’esatto contrario del populismo che interpreta le esigenze, le cavalca, favorendo il sopravvento della parte più rozza, come nel caso della Lega, o entrando in una spirale di contraddizioni, come per i 5S. Ma una cosa è certa: piaccia o non piaccia, le priorità individuate dal governo, immigrazione e lotta alla povertà, sono fortemente sentiti dal paese e, soprattutto, da quella parte della popolazione che, per composizione sociale e culturale, dovrebbe sentirsi più garantita da una risposta progressista. Su questi temi, però, il PD sembra balbettare commettendo l’errore, già vissuto durante l’opposizione a Berlusconi, di concentrarsi sulla demonizzazione dell’avversario e di non offrire una proposta chiara e comprensibile.

Torniamo ai problemi della nostra città. Se il dialogo partisse mettendo insieme persone capaci e perbene, senza generali calati dall'alto, lasciando poi che le cose, i programmi, indirizzassero la scelta del candidato sindaco, potrebbe aiutare o, visti i tempi, serve prima una figura forte e autorevole attorno alla quale costruire squadra e visione?

Partire dalle cose da fare e dai programmi è l’unico metodo ragionevole e serio. Per due ragioni principali. La prima che il Comune è in una condizione di collasso finanziario. Pertanto le cose da fare possono essere poche e devono essere possibilmente condivise e comunicate onestamente alla città. Se si vuole evitare di prendere in giro, come già accaduto nella scorsa campagna elettorale. La seconda ragione è che generali all’orizzonte non se ne intravedono. E le controfigure che si agitano spesso non appaiono rassicuranti. Ci vorrebbe una persona seria, appoggiata da liste di persone serie che si prendano sulle spalle le sorti di una città in ginocchio. Un po', mutatis mutandis, come accadde circa un quarto di secolo fa. Senza nostalgia, ovviamente.