Nascita e morte di un eroe del pensiero unico

Quanti Cacasenno al capezzale di una città che non cambia

Avellino.  

(effeffe) - La città quella mattina s'era risvegliata pesante. Tutti erano costretti a reggere il peso di tonnellate e tonnellate di articolesse, commenti, analisi, previsioni. Uno dopo l'altro, i Cacasenno sfornavano primogeniture sul chi, sul perché, sul come e sul quando.

Era un tripudio di futuro, di svolta.

Più del “piombo”, pesava l'illusione che i Bertoldo attribuivano a un'Avellino finalmente ritrovata.

Pure lui come ebbro di eserpina, mentre veniva portato in trionfo, chiedeva a tutti di chiamarlo Tommaso Aniello, il “Masaniello” delle zone interne.

Osannato a Valle, inneggiato a San Tommaso, esaltato a Bellizzi e acclamato a Picarelli, era stato durante il tragitto tra la villa comunale e piazza Libertà che aveva mostrato gli stessi sintomi del pescatore napoletano, lasciando sbigottiti e attoniti i suoi più stretti sostenitori.

L'Eletto parlava di opportunità, di scelte da fare e di programmi, mostrando, per la prima volta, la debolezza di avere idee, idee proprie.

Attorno al fiero Masaniello si fece il vuoto. Tutti avevano preso a consultare le guide per trovarvi un punto, una virgola che corrispondesse, ma niente: nel copione lui non aveva parti.

Le mani che prima lo avevano benedetto si alzarono per bandirlo dal popolo del pensiero unico.

Era diventato diverso.

Qualcuno volle cucirgli non una ma cinque stelle sul braccio destro per ricordargli il suo passato e da dove era venuto.

L'Eletto era diventato come tutti gli altri: aveva capito male e s'era illuso che lo avrebbero lasciato libero di cambiare.