L'ultima difesa di Mancino: "Ho sempre combattuto i boss"

Al processo Stato-mafia la deposizione dell'ex Ministro. Chiuso il dibattimento, ora il verdetto

Avellino.  

di Pierluigi Melillo

Accorata e appassionata. Ma nei toni ferma e decisa. L'ultima difesa dell'ex presidente del Senato Nicola Mancino va in scena nell'aula bunker di Palermo dove il processo sulla trattativa Stato-mafia è ormai alle battute finali. Dopo quasi cinque anni di lavori, circa 220 udienze e oltre 200 testimoni, il presidente della corte d'Assise Alfredo Montalto, ascoltate le dichiarazioni spontanee dell'ex ministro Nicola Mancino, ha dichiarato chiuso il dibattimento ritirandosi in camera di consiglio nell'aula bunker del carcere Pagliarelli. Il verdetto è atteso nei prossimi giorni.

La tesi dell'accusa. Politici e carabinieri sono accusati di avere stretto un patto con Cosa nostra con lo scopo di fare cessare gli attentati e le stragi, inziati nel 1992 e proseguiti l'anno successivo 93, per indurre lo Stato a piegarsi alle richieste dei padrini. Alla sbarra i boss mafiosi Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca, Antonino Cina (Totò Riina è morto a novembre), gli ex alti ufficiali del Ros Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno; Massimo Ciancimino, l'ex senatore di FI Marcello Dell'Utri e l'ex ministro Mancino. Quest'ultimo deve rispondere del reato di falsa testimonianza, Ciancimino di concorso esterno in associazione mafiosa e calunnia nei confronti dell'ex capo della polizia Gianni De Gennaro. Tutti gli altri sono accusati di violenza a corpo politico, amministrativo o giudiziario dello Stato.

Le richieste di condanna. I pubblici ministeri Roberto Tartaglia, Vittorio Teresi e i sostituti della Procura nazionale antimafia Nino Di Matteo e Francesco Del Bene, avevano formulato le richieste di condanna nelle scorse udienze: 15 anni di reclusione per il generale Mario Mori, 12 anni per il generale Antonio Subranni e il colonnello Giuseppe De Donno. Dodici anni anche per Dell'Utri. Proposti 6 anni di carcere per Mancino. Chiesti 16 anni per il boss Bagarella; 12 anni per Cinà. Non doversi procedere per Giovanni Brusca; condanna a 5 anni per Ciancimino per l'accusa di calunnia e il non doversi procedere per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, perché prescritto.

La difesa di Mancino. "Sono accusato di falsa testimonianza, sono diventato l'emblema del processo Stato-mafia. Ma io ho sempre lottato la mafia, sono stato sempre contro l'attenuazione del carcere duro ai boss". Ad accusare Mancino è stato Claudio Martelli: "Mi lamentai con il ministro dell'Interno del comportamento del Ros", mise a verbale l'ex ministro della Giustizia davanti ai giudici di Palermo. "Mi sembrava singolare che i carabinieri volessero fare affidamento su Vito Ciancimino". Martelli ha affermato senza mezzi termini di aver chiesto conto e ragione a Mancino dei colloqui riservati fra gli ufficiali del Ros e l'ex sindaco mafioso di Palermo, nell'estate del 1992. Mancino ha sempre negato quell'incontro. E lo ribadisce anche oggi: "Non ho mai parlato del Ros e di Ciancimino con Claudio Martelli. Ho sofferto per tutto questo periodo, e soffro ancora, non ho mai commesso il reato di falsa testimonianza".

Le parole di Riina. Poi, l'ex ministro dell'Interno cita le parole di Totò Riina: "Nelle intercettazioni in carcere diceva di me: Ma che vogliono sperimentare... Mancino, un nemico numero uno, nemico della mafia". E ribadisce: "Con le telefonate all'allora consigliere giuridico del presidente della Repubblica, Loris D'Ambrosio, non volevo assolutamente interferire sull'attività dei magistrati di Palermo - è uno dei punti centrali della difesa di Mancino - Chiedevo il coordinamento, non l'avocazione". Anche se oggi ammette: "A posteriori, dichiaro che era preferibile non telefonare".

L'incontro con Borsellino. Nell'appello finale, c'è anche spazio per i ricordi del primo luglio 1992: "Quel giorno, appena eletto ministro dell'Interno, il capo della polizia mi disse che il dottore Borsellino voleva salutarmi. Ci fu solo una stretta di mano, solo quella - dice Mancino - nessun dialogo, lo ha detto anche il giudice Aliquò, che era presente. Tutto il resto è una grande congettura".