La grande fuga dal Sud. Lavorano solo i vecchi

I dati del rapporto Svimez 2018. La frattura generazionale. Sono partiti due milioni di ragazzi

Pochi investimenti: sarebbero indispensabili per ridare speranza al Mezzogiorno. E farebbero bene anche al Nord: se non cresce il Sud non cresce il Paese

 

di Luciano Trapanese

Dal Sud vanno via tutti. I giovani (e non solo) meridionali. E anche gli immigrati. Lo dice lo Svimez, nel suo rapporto annuale. Una analisi impietosa. E che disegna – come al solito - un quadro chiaro e sempre ignorato. Una situazione che anzi peggiora di continuo. Irrimediabilmente.
In sedici anni quasi due milioni di meridionali (un milione e 883mila), sono andati via. Cresce anche il numero di stranieri che ha deciso di tentare la fortuna altrove.
Il peso demografico del Sud – rispetto all'intera Penisola - continua lentamente a diminuire: ora è pari al 34,3 per cento, due punti percentuali in meno dall’inizio del nuovo millennio, anche per una minore incidenza degli stranieri.
Per lo Svimez la sola Campania, entro il 2086 perderà oltre un milione e mezzo di abitanti.
Con investimenti pubblici sempre più insufficienti, politiche per il Sud improvvisate o di facciata (almeno da un ventennio), servizi allo sfascio, sanità spesso indecente, istruzione pubblica ai minimi termini. La frenata economica di questi mesi rischia di spegnere sul nascere le fiammelle di speranza che a macchia di leopardo pure si sono accese nel Mezzogiorno.

Cresce solo il precariato

Al Sud l'unica occupazione che cresce è quella precaria (7,5 per cento). L'assenza di lavoro è ritenuta dallo Svimez «un male endemico». E' aumentato il numero delle famiglie senza nessun occupato. Così come quello dei «lavoratori poveri». E non solo per gli stipendi da fame. Ma anche per i contratti part time, quasi sempre imposti e che quasi sempre nascondono invece lavori a tempo pieno.
Per gli analisi «gli italiani del sud sono a cittadinanza limitata». Ai quali vengono di fatti negati diritti fondamentali. Primo fra tutti quello alla salute. Provate a chiederlo a quanti sono costretti ad “emigrare” nel settentrione per farsi curare.

Il lavoro che esclude i giovani del Sud

C'è un dato sconcertante che viene fuori dal rapporto Svimez: il dualismo generazionale.
«Tra il 2008 e il 2017 si è ridotta di oltre mezzo milione la forza lavoro di giovani tra i 15 e i 34 anni (-580 mila). La contrazione di occupati nella fascia adulta 35-54 anni, è stata di 210 mila unità. Mentre è stata riscontrata una crescita concentrata quasi esclusivamente tra gli ultra 55enni (+479 mila unità). La crisi dunque ci restituisce un mercato del lavoro in cui i lavoratori giovani che rappresentavano il 30 per cento del totale degli occupati nel 2007 dopo dieci anni sono appena il 22 per cento, mentre, per converso, gli ultra cinquantenni sono passati nello stesso periodo dal 13 per cento del 2007 al 22 per cento nel 2017». Le ragioni? Eccole: «L’allungamento dei termini di pensionamento (Legge Fornero), il blocco del turnover nel pubblico impiego, insieme all’indebolimento del sistema formativo e di orientamento professionale e all’assenza di un sistema adeguato di servizi per l’impiego».

Devastanti effetti sociali ed economici

Un dato che genera grande preoccupazione per gli effetti sociali ed economici (anche per il bagaglio di competenze innovative e digitali che le nuove generazioni potrebbero apportare al sistema produttivo). E segnala una frattura sempre più marcata tra giovani (di età sempre più avanzata) ai margini del mercato del lavoro, esclusi o precari, e lavoratori a fine carriera, indotti a ritardare sempre più l’uscita verso il pensionamento. «La cruda fotografia di queste dinamiche, al netto degli effetti demografici, è rappresentata dal tasso di occupazione dei 15-34enni che è sprofondato dal 35,8 per cento del 2008 al 28,5 per cento del 2017: solo poco più di un giovane su quattro è al lavoro».

Previsioni negative anche per il 2019

Il rapporto non lascia prevedere nulla di positivo neppure per il 2019, quando si rischia un ulteriore – e forte – rallentamento per l'economia meridionale. Gli investimenti pubblici si ridurranno quasi di 5 miliardi. Eppure – aggiunge lo Svimez – con gli investimenti in infrastrutture di cui il Sud ha bisogno si avrebbe una crescita aggiuntiva, rispetto a quella prevista (0,7 per cento), di un punto percentuale. In questo modo il Mezzogiorno potrebbe crescere più del Nord, con effetti positivi sul Pil nazionale. Ma non solo. Il meridione ha dimostrato di essere reattivo alle politiche per lo sviluppo, generando un feedback positivo per l'intera Penisola. E in definitiva, sintetizza lo Svimez: se frena il Sud, frena il Paese.

I vantaggi del Nord se cresce il Sud

Per lo Svimez l'idea – ancora molto diffusa – che « i flussi di spesa pubblica (ritenuti per giunta eccessivi) a favore delle regioni meridionali siano il segnale di una dipendenza patologica del Mezzogiorno, che pone un freno alla area produttiva del Paese», sia anacronistica e infondata. E infatti: «L’integrazione Nord-Sud, oltre che trasferimenti netti di risorse pubbliche da Nord a Sud, implica anche corposi trasferimenti di risorse a vantaggio del Nord. Il Mezzogiorno è un primario mercato di sbocco dell’industria settentrionale; il risparmio meridionale è impiegato per finanziare investimenti meno rischiosi e più redditizi nel Centro-Nord; l’emigrazione di giovani meridionali in formazione o con elevate competenze già maturate alimenta l’accumulazione di capitale umano nelle regioni settentrionali».

Governo gialloverde e la questione meridionale

Per il governo gialloverde la «questione meridionale» sarà un banco di prova già da settembre, o meglio dal varo della complicata legge di bilancio. Sarà quello il vero esame per l'esecutivo. Sarà anche l'occasione per valutare se i 5Stelle riusciranno a rispondere alle esigenze di un Sud che li ha votati in massa. E per la Lega di dimostrare che non è solo il partito del Nord. Non si chiede a questo governo di ribaltare del tutto decenni di malapolitica per il Mezzogiorno. Ma un governo del cambiamento dovrebbe almeno essere in grado di invertire la rotta, di inviare segnali precisi, indicare direzioni percorribili. E non crediamo che la risposta possa essere solo e soltanto quella del reddito di cittadinanza.