Così la politica campana sta uccidendo la cultura

Gestita come la sanità, ecco i risultati

Giochi di potere, clientele, superficialità e inadeguatezza: così la Regione sta devastando il panorama culturale campano. Gli esempi del Trianon, del Mercadante, la guerra di Ravello raccontano una situazione insostenibile

Avellino.  

Quella che si sta combattendo in questi giorni è una battaglia senza esclusione di colpi in apparente difesa della cultura o di quello che ne rimane. Almeno a sentire le parti interessate, a star dietro alle tante esternazioni in libertà o a dar retta alle prese di posizione ufficiali. In effetti, osservando la questione da osservatori disinteressati, con la dovuta ponderazione e la necessaria attenzione, la contrapposizione appare tutta politica, una guerra su scala locale tra fazioni in lotta la cui unica preoccupazione è impadronirsi sistematicamente dei posti di potere, utilizzando la cultura come mezzo e il proprio tornaconto come fine.

 

La vicenda è paradigmatica perché dimostra, alla faccia delle belle parole e delle buone intenzioni, come, effettivamente, funzionano in Campania, ancora oggi, certi meccanismi e come le amministrazioni pubbliche siano ancora legate a un modello d’organizzazione feudale, burocratico e inefficiente che porta inevitabilmente a un impoverimento generale, a una diminuzione dell’offerta culturale e alla inevitabile riduzione degli spazi disponibili. Per esempio, la decisione della Giunta regionale di dismettere la proprie quote di partecipazione nella società che gestisce il Teatro Trianon di Forcella è una scelta quanto mai bizzarra e inopportuna, giustificata da una logica puramente finanziaria che rappresenta, però, un’evidente contraddizione in termini rispetto ad altre scelte operate o ai tanti sprechi di denaro pubblico perpetrati in questi anni.

 

D’altronde, quando fu dato il benservito a Nino D’Angelo, che, come direttore uscente del Trianon, aveva lasciato in eredità una gestione virtuosa e un patrimonio di quattromila abbonati, c’era da immaginarselo che le cose avrebbero preso una piega diversa, soprattutto in assenza di prospettive nel breve periodo, figuriamoci nel medio o nel lungo. Ora il Comune di Napoli attacca la Regione, qualcun altro s’è svegliato dal torpore intellettuale e tenta di scongiurare la vendita all’asta, dopo i primi tre tentativi falliti. Nino D’Angelo ha parlato senza mezzi termini di una “coltellata al cuore di Forcella”.

 

In effetti, la ferita mortale è stata inferta alla cultura campana complessivamente intesa perché, ormai, è palese qual è il criterio scellerato di gestione e quali sono i risultati a cui inevitabilmente conduce una determinata impostazione. S’è capito che, se si governa la cultura come la sanità, i risultati sono disastrosi e prima o poi ci sarà necessario nominare un commissario liquidatore.

 

Chi possiede una memoria di ferro, infatti, non avrà certo dimenticato che la Giunta Caldoro, poco dopo il suo insediamento, non sprecò nemmeno un minuto del suo prezioso tempo, preferì abbandonare al loro destino le dirigenze di alcuni teatri napoletani, privandole dei fondi europei necessari ad assicurare l’attività artistica, e allungò i propri tentacoli su tutta una serie di avamposti culturali, dal Mercadante fino al Teatro Festival, senza disdegnare il Museo Madre o la Fondazione Ravello, occupando le caselle lasciate libere.

 

Insomma, quello che con una formula linguistica edulcorata viene definito “spoil system”, a determinate latitudini non è altro che una capillare occupazione di posti strategici che, in carenza di una visione globale e di un’adeguata competenza per quel che riguarda la diffusione di tutto quello che attiene specificatamente alla cultura, finisce per distruggere quel poco di buono che faticosamente era stato realizzato e per stroncare la progettazione futura. In tal senso, un’altra vicenda emblematica e assimilabile alla precedente, che conferma e non smentisce la premessa, è proprio quella legata al Teatro Mercadante di Napoli di cui, con ogni probabilità, se ne occuperà la Procura della Repubblica.

 

La faccenda è arcinota. Nove assunzione su quindici sono quanto meno sospette. In ballo posti a tempo indeterminato e il riconoscimento di “teatro nazionale” come prevista da un recente provvedimento governativo. La prima questione indissolubilmente concatenata alla seconda. In pratica, bisogna assumere per ottenere questa qualifica.

 

E quindi via al concorso. Peccato che la trasparenza, come al solito, si riveli qualcosa di inafferrabile, quasi di invisibile. Quando si tratta di elargire posti di lavoro, la tentazione di privilegiare gli uni e penalizzare gli altri, strizzare l’occhio agli amici e sbattere la porta in faccia ai candidati anonimi, è insuperabile.

 

Il problema, a ben vedere, non è neppure di carattere formale, poco cambia se si segue il modello del concorso pubblico o ci si affida a commissioni di super esperti perché, tanto, nell’uno o nell’altro caso, si trova sempre la scappatoia, il modo per truccare la partita. Non conta nemmeno se i comportamenti presentino, oppure no, un profilo di rilevanza penale, quello che è inaccettabile è il metodo seguito, ormai standardizzato.

 

Ci si è illusi che si potesse abolire il malcostume attraverso il codice penale. La moralizzazione per via giudiziaria si è rivelata un miraggio in assenza di un’inversione di rotta della classe dirigente che non ha mai saputo garantire, in difetto di una lungimirante capacità, la regolarità dei procedimenti amministrativi di selezione e il ricambio nei posti di comando.

In questo contesto eufemisticamente contaminato, le dure prese di posizione del Sindaco De Magistris non impressionano perché rientrano nell’ambito del normale gioco delle parti, delle schermaglie politiche e del riposizionamento dopo gli scandali che, stavolta, hanno toccato gli acerrimi rivali. Si discute sempre e solo di nomine, di persone, di amici, ma mai di progetti o di idee. Come a Ravello. Dove Caldoro prende le parti del defenestrato Brunetta minacciando l’uscita dalla Fondazione – il che significa bloccare i finanziamenti e paralizzare l’attività - nel caso in cui fosse confermata la nomina di un nuovo direttore. A differenza di chi decise di non morire per Danzica quando la Polonia fu occupata dalla Germa

 

nia nazista, il Governatore della Campania non esiterà a schierare le truppe in difesa di Ravello e di Brunetta. E’ palese come, anche in questo caso, la contrapposizione sia tutta politica. Da una parte la Regione, targata centrodestra, e dell’altra la Provincia di Salerno guidata dal centrosinistra e da un plenipotenziario del carismatico e decaduto Sindaco, Vincenzo De Luca.

 

Nel frattempo, mentre gli eserciti si fronteggiano, la Cultura resta stritolata in mezzo a questi stucchevoli giochi di potere, imbrigliata in ingranaggi farraginosi che la riducono a brandelli. Condannata a essere smontata pezzo per pezzo e rivenduta all’asta al miglior offerente.

Gianluca Spera

gianluca_spera@libero.it