Candelora, la neve non ferma la devozione

Anche se in tono minore si e' rinnovato l'appuntamento con la Iuta a Montevergine

Avellino.  

Candelora sotto tono quest’anno: la neve e il gelo hanno ostacolato i tanti fedeli che si sono ritrovati nella prima mattina di ieri nel piazzale di Ospedaletto d’Alpinolo. Gli autobus giunti da Torre Annunziata, Napoli e Torre del Greco che non sono riusciti a risalire subito, a causa della fitta nevicata.

Pochi quelli che sono riusciti a raggiungere la meta. Anche Luca, giovane attivista gay della provincia di Caserta ha temuto il peggio ma poi ce l’ha fatta. Quando può non si lascia sfuggire l’occasione per condividere un giorno di festa così importante, che con il tempo ha assunto una valenza fondamentale non solo per la fede religiosa ma per l’affermazione dei diritti contro stereotipi e pregiudizi. « Il giorno della Candelora, è il giorno in cui da secoli, da tutta la Campania e non solo, i fedeli arrivano a Montevergine per rendere onore alla Madonna» spiega Luca.

La Madonna è la Mamma Schiavona di Montevergine, cui è consacrato uno dei santuari più importanti del Mezzogiorno. La ripida funicolare che collega Mercogliano al Santuario non è attiva, ma tante le alternative: in macchina o in autobus, ma anche a piedi, su per i lunghi sentieri nonostante il freddo: un’arrampicata della fede.

“Per la santa Candelora se nevica o se plora dell'inverno siamo fora” recita un antico proverbio popolare, riferito al rituale introdotto dal patriarca di Roma Gelasio intorno all'anno 474 d.C., in sostituzione della cerimonia pagana dei Lupercali, dalla quale conserva alcuni aspetti. «Per chi non è mai stato qui e può solo immaginare cosa accade, la festa della Candelora è femminielli, balli, canti, tammorra e vino, ma è molto altro» precisa Veronica, napoletana. E non solo perché i femminielli, che da Napoli, ogni anno da tempo immemorabile, salgono dalla Mamma Schiavona e rivolgendole le loro preghiere. Anche se a dire il vero, ne abbiamo incontrati pochissimi.

«Questa è la festa della spiritualità, della rinascita a nuova vita, quando in primavera tutto si risveglia e inizia un nuovo ciclo. È la festa della luce, le candele lo testimoniano, è la festa di tutti noi. La spiritualità, la fede al di là delle differenze, questo è il vero senso della giornata di oggi» continua Ciro, appassionato di tradizioni napoletane. Ed infatti, la Candelora non è una festività cattolica come le altre, è il giorno in cui la ritualità Il padre nobile di una generazione che sta scomparendo e che ha vissuto densa di valori e di idee ma soprattutto di libertà in ogni sua forma, non solo politica ma soprattutto umana.

Anche Pier Paolo Pasolini rimase affascinato dal fascino arcaico di queste nenie rituali: nel 1960 volle registrarle personalmente dalla viva voce delle devote per usarle come colonna sonora del suo Decameron. E ancor prima, Zavattini e De Sica parteciparono al pellegrinaggio dei femminielli quando erano in cerca di ispirazioni per il film "L'oro di Napoli". Travestimenti, canzoni, suoni, battiti di nacchere e tammorre accompagnano l'ingresso in chiesa. Poi il silenzio cala improvviso e si leva alta la litania che, come un’ eco lontana, chiama a raccolta le figlie della Mamma Schiavona: è la voce del noto artista folk Marcello Colasurdo, ex operaio dell'Alenia di Pomigliano d'Arco, a lungo icona del Gruppo musicale E' Zezi .

Da sempre qui. «Non c'è uomo che non sia femmina e non c'è femmina che non sia uomo» è il mantra che ci scuote di suggestioni tra il sacro e il profano. La Candelora è una testimonianza di fede ma anche di affermazione dei propri diritti: «il diritto alla fede, il diritto ai sacramenti, il diritto di essere considerate e accolte dalle istituzioni religiose, per chi ci crede, e dalle istituzioni laiche da un punto di vista legislativo» spiega Gina, napoletana. Un pellegrinaggio che mai aveva fatto notizia fino al 2002 quando l’abate di Montevergine, monsignor Tarcisio Nazzaro, tuonò dall’altare contro i femminielli, venuti come ogni anno ad onorare la Madonna: le loro chiassose preghiere non erano gradite e che essi erano come i mercanti del Tempio prima che Gesù li scacciasse, scacciandoli a sua volta tutti dalla chiesa.

Da allora, la Juta è diventata un ulteriore simbolo dell’orgoglio LGBT (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender ) e della necessità di affermare i propri diritti : umani e universali, come quello all’amore, al centro della rassegna culturale organizzata dall’associazione I-ken - con il quale la lunga giornata si è chiusa.

Marina Brancato