"Iulia Capuleti. L'alba delle emozioni"

Sarà presentato ad Avellino sabato 12 gennaio l'affascinante romanzo di Antonella Bruno

L'intervista. alla psichiatra e psicoterapeuta Antonella Bruno

Avellino.  

Sabato 12 gennaio alle 17.30 al Circolo della Stampa di Avellino, la presentazione del libro di Antonella Bruno: "Iulia Capuleti. L'alba delle emozioni".

Partiamo proprio dal titolo, come mai Iulia Capuleti. Quali sono gli argomenti per lei fondamentali, che tratta in questo libro?

Iulia Capuleti, nel suo titolo, volutamente condensa due movimenti, di cui l’uno è parte dell’altro: il progressivo compenetrarsi di Iulia, la tredicenne dei nostri tempi, nella fanciulla immortale di Shakespeare, Giulietta Capuleti,è come il dettaglio in primo piano che si muove in sincronia con un movimento più ampio: quello della lenta costruzione, anzi, direi, co – costruzione dei personaggi, e degli stessi ragazzi – interpreti, in un’ asimmetrica ma frizzante collaborazione tra la regista e gli studenti. Strumento di tutto questo è il linguaggio, nelle sue variegate modalità espressive: a cominciare dal linguaggio non verbale, il quale aiuta i ragazzi a scoprire innanzitutto che provano delle emozioni e che il loro corpo ne parla prima ancora che ne abbiano qualche consapevolezza. Non casuale, quindi, la scelta del titolo.

Quanto la realtà ha inciso sulla scrittura?

Nella scrittura di questa storia, le mie esperienze personali e professionali hanno avuto un ruolo centrale. Io sono una psichiatra e psicoterapeuta degli adolescenti e, a voler essere sintetica al massimo, il succo di ciò che l’essere tale mi ha insegnato, o almeno uno dei dati più salienti, è quanto, spesso, sia, non solo irrilevante ma anche controproducente cercare di modellare e di interpretare i pensieri dei ragazzi, i loro slanci, le loro asprezze, sulla misura di ciò che siamo stati noi o crediamo di essere stati. Il racconto ha uno spunto decisamente autobiografico, l’infruttuoso tentativo di collaborazione tra me e due psicologhe, curiosamente molto più giovani di me, per cercare di organizzare una sorta di cineforum per ragazzi, ove fossero trattati temi sensibili dell’adolescenza come spunti per discutere e riflettere sui propri vissuti a confronto con la società. Motivo fondamentale delle nostre divergenze era la loro opinione che si dovesse mantenere un basso profilo nella scelta dei film; diversamente i ragazzi non sarebbero stati all’altezza di accedere a materiale più complesso, data la deriva culturale del mondo giovanile odierno. Io non ero affatto d’accordo e le mie obiezioni sono quelle che metto in bocca alla regista, nell’incontro – scontro con la Preside nel I atto: “Bene, mettiamo che sia così, non mi pare comunque un buon motivo per dare anche noi il nostro contributo a banalizzarli.Perché invece non elevarli, non osare la scommessa di dare loro un poco più di credito e di intravedere oltre il loro stesso sguardo, le potenzialità che recano in sé?

La scrittura, come valore testimoniale, cosa ha voluto salvare e custodire dall’oblio di questo suo libro?

Il valore fondamentale delle relazioni: solo queste durano e trasformano, tutto il resto è effimero: Iulia, Sofia, Francesco, Simone, Daniele, Gianluigi, Marika, giocando, sbagliando, divertendosi, accapigliandosi, percorrono insieme un lungo pezzo di strada dopo il quale nulla sarà più lo stesso.

A conclusione di questa esperienza formativa che ha partorito il libro Iulia Capuleti, se dovesse isolare degli episodi che ricorda con particolare favore, come li descriverebbe?

Ce n’è più di uno in realtà; volendo proprio forzare i limiti di scelta, me ne vengono in mente due che, nelle mia intenzione, anzi nella mia riflessione a posteriori, segnano l’inizio e la conclusione di una lunga e complessa parabola, quella del rapporto tra Iulia e la regista Eleonora Funcan. Perché è indubbio che lo sviluppo di questo rapporto rappresenta un asse portante dell’opera, anche se Iulia Capuleti nasce senz’altro come opera corale, dove tutti gli altri ragazzi figurano come importanti comprimari.

Il primo è quando Iulia espone alla regista le sue proposte di contaminazione per vivacizzare ed attualizzare la scena, e la regista non manca tempestivamente di valorizzargliele per iniziare a tessere un dialogo.

“Eleonora si rivide nell’incontro con Iulia del giorno prima;si accingeva a scendere la rampa di scale che conduceva al piano terra quando si sentì chiamare e si voltò: era Iulia. La ragazza esitò pochi secondi, quindi abbozzò un ritmo di passo lesto, quasi a correrle incontro, ma subito dopo rallentò come se un’improvvisa timidezza o una corrucciata ribellione o entrambe avessero deciso di ristabilire il pieno dominio su quel primo, spontaneo moto del cuore. “Vuoi dirmi qualcosa?” -  le chiese, mentre Iulia, occhi bassi, fingeva di riaggiustarsi lo zainetto sulle spalle per darsi un contegno:  “Ecco … cioè … mi è venuta in mente qualche idea sulla messa in scena.”….. mi è piaciuto anche quando Tony e Maria si vedono per la prima volta e rimangono fissi a guardarsi e tutt’intorno sembra sparire…bene, sediamoci su questo scalino così ne parliamo meglio.”-  la invitò la regista. Iulia sedette accanto a lei e si andò via via infervorando mentre continuava ad esporre la sua idea. Senza volerlo accelerò le parole e lo sguardo le si illuminò di una luce nuova, sconosciuta a sé stessa, ma che non sfuggì ad Eleonora, mentre accompagnava il suo discorso con un involontario, ampio gesticolare:

 “Ho immaginato che alla fine di America, Giulietta e Romeo … cioè, volevo dire, io e Francesco entriamo in scena chi da una parte e chi dall’altra e in quel momento la musica finisce di colpo e i compagni del coro si bloccano così dove si trovano. Poiii … ah sì, poi attacca la canzone Maria e … e Romeo e Giulietta si vengono incontro guardandosi fisso e camminando piano, molto piano, ho pensato come se … come se sapessero che quello è il loro destino ma che non è un destino buono, e allora loro quasi non si vogliono andare incontro ma continuano a camminare perché è più forte di loro, si piacciono … si piacciono un casino! Che ne pensa?”

Eleonora si sentì sorridere:

“Caspita, hai avuto due idee che sono due chicche! Degne di essere sviluppate!” “Dice davvero?” - mormorò Iulia, dubbiosa, mentre Eleonora cercava invano il suo sguardo. “Dico sul serio.” - mormorò Eleonora con tono convinto. La ragazzina si alzò quasi di scatto come se fosse stata colta da un’imprevista urgenza. “Beh, grazie, adesso scusi ma devo scappare perché è già tardi e mia madre chi la sente!” “A domani allora.” - replicò Eleonora alzandosi a sua volta.  “Iulia!” La ragazza, che aveva già percorso metà della rampa, volse il capo in alto e all’indietro verso di lei e i loro occhi s’incrociarono: stavolta mantenne il suo sguardo su quello della regista. “Sei in gamba Iulia!” Iulia sorrise ed Eleonora rimase quasi interdetta: il broncio consueto si era dissolto e due delicate fossette le erano fiorite sulle guance, testimoni di un’insospettata solarità e freschezza.

Il secondo episodio, quasi alla conclusione del libro, è quando Iulia, colta da un attacco di panico in piena regola, pone disperatamente una richiesta da sos alla regista.

“Iulia emise un gemito strozzato: “Signora Funcan io … io muoio … io vado in pezzi … aiuto … Eleonora!” La donna si alzò sollecita dalla sua posizione inginocchiata e, portandosi alle spalle della ragazza, l’avvolse tra le sue braccia: “Non temere cara, non succederà niente di tutto questo, te li tengo io insieme tutti i pezzi!”

Tutti gli strati solidificati di durezza che Iulia si era costruita nel corso di quegli anni per non soffrire cedono: la rabbia non funziona più. Iulia, sguarnita di difese, si arrende alla percezione di andare in frantumi e la regista, che pure non è un’addetta ai lavori ma ha maturato una sensibilità empatica nel corso di tanti anni di lavoro con i ragazzi, reagisce abbracciandola dal didietro: come a tenere insieme e a ricompattare quei temuti frantumi. E’ un momento importante perché getta luce su di un’angoscia diffusa nei giovani e giovanissimi d’oggi, che li conduce al viversi il corpo come scollato dalle emozioni che dovrebbero accompagnarlo; per avere meno paura: di crescere, di esporsi. Così Iulia che, favorita dalla sua intelligenza, si dirotta molto sull’intellettuale, mentre sembra vivere con molto cinismo e quasi come distaccata dal proprio corpo, la sua prima esperienza sessuale.

Quali sono le sue fonti d’ispirazione: altri autori che ritiene fondamentali nella sua formazione culturale e sentimentale?

Lo spazio d’ispirazione è ampio e variegato, tanto da rendermi difficile una scelta  particolareggiata: innanzitutto i grandi classici della tragedia greca del  V secolo a.C., e, risalendo molto più in su, gli splendidi, ironici ritratti di Moliére, o le atmosfere problematiche e ambigue di Tenesse Williamss;  venendo alle poesie e ai romanzi, con Leopardi sono legata da un lungo filo contenutistico ed estetico: se negli anni della prima giovinezza Leopardi mi conquistava per i suoi contenuti e l’immediata risonanza che essi avevano con i miei vissuti depressivi adolescenziali, oggi, negli anni della maturità, Leopardi mi affascina per la bellezza della forma, che trovo in sé stessa contenuto, poiché genera di per sé emozioni semplicemente attraverso la pulizia e l’eleganza musicale del verso. Venendo ai più recenti o contemporanei, Primo Levi mi ha sempre colpito per la lucidità analitica e di conseguenza l’efficacia con cui riesce a scendere negli angoli più riposti della mente umana, quando messa al confronto con esperienze estreme, e mi riferisco soprattutto ai “Sommersi e Salvati”. E poi la penna asciutta ed incisiva di Margareth Mazzantini e, come mia ultima scoperta, lo stile di Markus Zusak, l’uso che egli fa, assolutamente originale, delle parole, come se non fossero meri simboli ma corpi vivi che agiscono e subiscono azioni.

Ci sono altre discipline artistiche, artisti, che in qualche modo influenzano …

Senz’altro la musica, che io scoperto molto presto, da autodidatta, prima con la lirica, poi con la classica strumentale, e quindi spaziando in altri generi. Non ho effettuato studi tecnici in merito, direi che la musica la sento con un orecchio che si connette direttamente alla mia anima, come la poesia. La musica, del resto, occupa ampio spazio in Iulia Capuleti. Non pochi sono i passi in cui la regista instancabilmente ascolta e riascolta un brano musicale nello sforzo di modellare su di esso la tessitura scenica di un atto. La sua mente, formatasi alla lirica e alla classica, ma che, nella sua adolescenza, si è lasciata coinvolgere fino al deliquio, dai Beatles e dagli Abba, non ha difficoltà a raccogliere gli spunti dei suoi giovanissimi su Michael Jackson e a trasformali in colonne sonore di alcuni passi molto significativi dell’Opera. E così si traduce l’aspirazione di Eleonora Funcan a portare i grandi classici alla dimensione giovanile, ponendosi come trait d’union tra quelli e questa.

Oltre a quello trattato nel suo libro, quali altri generi letterari predilige?

Direi che non c’ è un genere che io prediliga in assoluto. Forse la narrativa, ma posso lasciarmi molto prendere anche da un testo di saggistica, da uno scritto drammaturgico, da un libro di poesie. La mia sensibilità al teatro, per esempio, nasce dall’aver studiato diversi anni presso vari laboratori teatrali, dall’aver fatto un anno di corso come aiutoregista e dall’aver frequentato per oltre due anni un gruppo di scrittura drammaturgica. Un bagaglio, che insieme a quello professionale, è stato prezioso e irrinunciabile per Iulia Capuleti.

Preferisce il libro tradizionale cartaceo o quello digitale?

Senz’altro il cartaceo. Pur essendomi ormai abituata a scrivere al computer, tanto che ora mi riuscirebbe un poco difficile scrivere di mio pugno, per la lettura ho bisogno dei tempi e della distanza critica consentiti dal cartaceo. Di più, è proprio una questione di contatti sensoriali, io ho bisogno di sentire la carta tra le mani, di annusarne l’odore.

Un motivo per cui lei comprerebbe Iulia Capuleti se non lo avesse scritto

Perché, senza alcuna pretesa di esaustività, cerca di offrire uno spaccato dell’adolescenza di oggi, o meglio di alcuni aspetti di essa, soprattutto delle sue potenzialità da scoprire, attraverso l’angolo visuale di un complesso di relazioni e del loro potere trasformativo. Il teatro è una forma espressiva particolarmente idonea allo scopo. Diversi aspetti dell’opera sono nutriti di conoscenze tecniche, specie quelle acquisite sul campo con i ragazzi, ma mi sono sforzata di astenermi da qualsiasi concessione che potesse avere un sapore teorico o addirittura accademico, lasciando intatta la freschezza della messa in scena teatrale.

Ha in progetto altre opere da scrivere nel prossimo futuro? In caso affermativo ce n’è può dare qualche anticipazione?

Tra qualche mese sarà pubblicato, sempre dalla Aletti, un altro mio scritto drammaturgico, il furto della bellezza che, alla X edizione del Federiciano di agosto u.s., è risultato finalista al IV Premio Internazionale Salvatore Quasimodo. Il mio lavoro drammaturgico è liberamente ispirato a Ladra di libri, il romanzo di Markus ZusaK che ho citato tra i miei prediletti della contemporaneità. Anch’esso parla di giovani, ma in un contesto molto diverso. Sono adolescenti o giovani ragazzi costretti a vivere eventi molto più grandi di loro, la II guerra mondiale e la Shoa. Direi che è un libro sulla bellezza, onde il mio titolo, perché, a fronte di simili orrori epocali, una via di salvezza, o almeno di fuga, e soprattutto un senso, vengono faticosamente rintracciati nella bellezza, quella della scrittura. Ne nascono pagine talora drammatiche talaltra liriche, crude in qualche tratto, ma piene di pathos e di una struggente poesia. Così l’orrore del non senso sembra riscattarsi attraverso la bellezza di una parola che è insieme ricostruzione di senso e strumento irrinunciabile di memoria storica.