Wire, due ore di grande rock. E ora chi arriva in città?

Un successo di pubblico il concerto della band londinese al Cimarosa. Auditorium gremito.

Dopo i Dream Syndicate Avellino si conferma il posto giusto per ospitare eventi di questo tipo. Tanti hanno raggiunto l'Irpinia da altre province e altre regioni. Una splendida promozione culturale.

Avellino.  

 

 

di Luciano Trapanese

E' stata una notte rock ad Avellino. L'Auditorium del Cimarosa gremito come forse mai prima. Tutti lì per assistere all'atteso concerto dei Wire, la band londinese che ha offerto due ore di grande musica, tra momenti di puro punk (alcuni pezzi dei primi due album (Pink Flag e Chairs Missing), e suoni post punk, che sono poi stati la direttrice artistica che ha ispirato il gruppo di Colin Newman (voce e chitarra), Graham Lewis (basso e cori), Bruce Gilbert (chitarra) e Robert Gotobed (batteria).

Quella avellinese è stata l'unica tappa al sud, in una tournée che festeggia i quarantanni dagli esordi sulle scene (suoneranno questa sera a Roma, poi il 23 novembre in Portogallo). Una tournée storica, dunque. Che anticipa anche l'uscita del prossimo album.

Età media in sala un po' over, sono mancati all'appello i giovanissimi. In compenso la metà del pubblico non era di Avellino e neppure della provincia. Sono arrivati da altre zone delle Campania e anche da altre regioni. Per molti di loro era la prima volta in città. Hanno scoperto il capoluogo irpino grazie al rock. Anche questa si chiama promozione.

Il concerto è stato aperto dall'open act dei The Hand, un trio romano (anche loro non erano mai stati ad Avellino), composto da Emiliano Tortora (synth, drum machine e voce), Fabrizio Mazzuccato (chitarra e voce) e Sandro Di Canio (chitarra e voce).

Ma l'attesa era tutta per loro. I Wire sono saliti sul palco quasi alle 22. Con l'atteggiamento da vecchi punk – evidentemente non lo hanno perso –, di chi non ha bisogno di convenevoli per conquistare il pubblico. Basta la musica.

Colin Newman ha salutato con un cenno, Graham Lewis si è esibito in un più caldo “buonasera”. Poi è partito lo show. Chi si aspettava la prevalenza dei suoni un po' (ma solo un po'), più morbidi degli ultimi album (Silver/Lead, Nocturnal Koreans, Wire e Change Becomes Us), non è stato accontentato. I londinesi hanno pescato a piene mani nei tre meravigliosi album di fine anni '70 (Pink Flag, Chairs Missing e 154), unanimemente riconosciuti come i loro capolavori. Quelli più punk (soprattutto il primo), e antesignani dei suoni post punk (gli altri due). Poi pezzi dall'ultimo lavoro e qualche inedito e perle sparse della lunga e intensa produzione. Musica a tratti ipnotica, con le chitarre in perenne intreccio, supportate dall'incedere instancabile della sezione ritmica.

Due ore di buon rock. Interrotte solo da un piccolo inconveniente, quando ha iniziato a suonare l'allarme antincendio. Anche nell'occasione Colin Newman è rimasto freddo, ha solo detto (più o meno): «Con quell'allarme non si può suonare, torniamo quando lo spengono». Ha posato la chitarra ed è andato via, seguito a ruota dagli altri. Tre minuti dopo – risolto il problema -, è tornato sul palco ed ha ripreso a suonare, come nulla fosse.

A fine serata molti si chiedevano, ti sono piaciuti più i Wire o i Dream Syndicate (che hanno aperto la stagione rock al Cimarosa)? Domanda difficile, mondi diversi, e anche generi diversi, accomunati solo dallo stesso periodo storico. Forse Steve Wynn ha un carisma e una presenza scenica diversa – ma è un gusto personale – e la sua band ci ha regalato emozioni più forti dei Wire.

La domanda è stupida, forse anche la risposta. La riportiamo solo per un motivo: qualche mese fa nessuno avrebbe mai pensato di porsela per due importanti concerti “vissuti” ad Avellino. Ed è questo che conta. In attesa del prossimo, che sicuro ci sarà. Come ci hanno assicurato gli animatori dell'associazione Fitz, Lello Pulzone e Luca Caserta (grazie per tutto quello che regalate agli appassionati e alla città). Noi aspettiamo sempre i Mazzy Star (sperare è lecito), anche se coltiviamo un piccolo sogno (a questo punto ci è concesso): Johnny Marr la chitarra e il cuore degli Smiths (insieme a Morrisey). In quel caso – riteniamo – non basterebbe l'Auditorium del Cimarosa, forse servirebbe il teatro Gesualdo, comune permettendo (se poi si riesce nell'impresa di intercettare i Jesus and Mary Chain sono anche pronti gli striscioni). A dire il vero qualche nome già circola. Ed è un grande nome. Non siamo ancora autorizzati a dirvelo... Ma l'attesa non sarà lunga.